1. SOLDI, POTERE E POLITICA LA MANO PESANTE USA CONTRO CINA E RUSSIA NELLA GUERRA PER LA FIFA
Marco Mensurati per “la Repubblica”
Le conferenze stampa presso il Dipartimento di Giustizia, gli spettacolari blitz all’alba dell’Fbi, gli scoop in serie del New York Times. C’è tutta l’America, con la sua potenza e la sua mitologia nel furibondo attacco giudiziario mediatico che ha raso al suolo l’impero di Joseph Blatter. Avendo chiaro il chi, quello che resta da capire è il perché.
Nei primi giorni del giugno scorso, quando il redde rationem del calcio mondiale ebbe inizio, e cioè dopo la prima clamorosa retata a Zurigo, di fronte a un Blatter disperato che tentava di resistere, dagli Usa arrivò un messaggio chiaro e violentissimo. «Il re deve cadere, e chiunque si metterà in mezzo verrà fatto a pezzi».
Gli sponsor, tutti gli sponsor che da 25 anni tenevano in piedi il “sistema Blatter” - Visa, Nike, Adidas e Coca-Cola - annunciarono l’intenzione di tirarsi indietro se la Fifa non avesse cambiato rotta. Contemporaneamente, Abc News, New York Times e Reuters (due testate Usa e una inglese, non è un dettaglio da poco) citarono anonime fonti ufficiali vicine all’inchiesta per svelare che l’Fbi stava puntando dritto verso Blatter e i soldi che il giurassico boss Fifa aveva movimentato attraverso i suoi colleghi.
Da subito gli analisti, nel considerare tanta irruenza made in Usa, si divisero in due filoni di pensiero. Il primo è quello che voleva l’intera manovra dell’Fbi come un tentativo degli americani (e degli inglesi) di intervenire a gamba tesa sull’assegnazione dei mondiali del 2018 alla Russia e del 2022 al Qatar nella speranza di vedere riassegnate le due manifestazioni. Ne parlò nell’immediatezza dei fatti Vladimir Putin, ne ha parlato ancora ieri lo stesso Blatter.
L’impressione però è che sotto ci sia ben altro. Anche perché i mondiali del 2018 sono troppo vicini per pensare veramente di cambiare il paese ospitante; e quelli del 2022, che sono invece davvero a rischio anche per motivi climatici e ambientali, sono stati assegnati a un paese che dell’America è tutt’altro che nemico. E allora ecco la seconda teoria, secondo la quale la guerra americana a Blatter è motivata da più fattori concomitanti.
BLATTER PLATINI DALLA BACHECA DI MARADONA
L’amministrazione Obama considera il calcio uno sport strategico in termini politici: negli Usa è amato, praticato e seguito dalle donne e dalle comunità latino americane. Una fabbrica di consenso che non può essere lasciata nelle mani di un tiranno che si è spesso dimostrato inaffidabile: dal 2005, quando si rifiutò di obbedire al Dipartimento di Stato Usa che aveva chiesto di escludere l’Iran dai mondiali di Germania, fino ad oggi, quando si è rifiutato di aderire alle sanzioni anti Russia.
Anche così si spiega la scelta del ministro della giustizia Loretta Lynch di procedere solamente contro le persone fisiche, i dirigenti, e non contro la Fifa come istituzione, dichiarata, invece, parte lesa. Decisione in controtendenza, considerando che in altrettanto clamorose indagini contro banche (Bnp Paribas) e case automoblistiche (General Motors) si fece l’esatto opposto.
Ma la sensibilità politica del governo per il calcio da sola non sarebbe sufficiente a giustificare una tale offensiva, se non si fosse intrecciata agli interessi delle multinazionali. E qui non si fa riferimento solamente agli sponsor, ma anche se non soprattutto alle aziende specializzate nello “sport marketing”, una definizione che tiene insieme un po’ tutto, dalla compravendita dei diritti tv (senza dubbio la partita più grossa) alla gestione dell’immagine di calciatori e squadre in tutto il mondo, al reclutamento di sponsorizzazioni e finanziatori. Non è un caso che buona parte dell’indagine dell’Fbi ruoti intorno alle aziende sudamericane operanti in questo settore (Traffic, Torneos, Full Play).
Da questo punto di vista, il nome di Sepp Blatter è perfettamente sovrapponibile a quello di una delle aziende leader mondiale, quella Infront guidata da suo figlio Philippe e recentemente acquistata per un miliardo e cinquanta milioni di euro dal colosso cinese Wanda.
Nei giorni in cui l’affare stava per chiudersi, le intelligence di tutto il mondo (Cia in testa) avevano inviato significativi warning ai vari governi locali segnalando la delicatezza — sotto il profilo della provenienza dei soldi e degli equilibri geopolitici — di un passaggio di mano di un business di tali proporzioni. Eravamo a febbraio. Pochi mesi dopo, il blitz che ha messo fine all’era Blatter.
2. MICHEL L'INTOCCABILE È CADUTO DAL TRONO TRADITO DALLA SUA STESSA GRANDEUR
Paolo Brusorio per “la Stampa”
Dice Michel Platini: «Sono in pace con la mia coscienza. Questa vicenda è tutta una messinscena e io andrò fino in fondo». Ancora non si è capito se il giorno in cui Le Roi cade dal piedistallo è un bel giorno oppure no per il calcio che dal francese e dalla sua grandeur si era fatto piacevolmente ammaliare senza porsi troppe domande. Sicuri che Platini fosse l' uomo giusto cui affidarsi, il dirigente migliore di cui fidarsi.
Traditore e traditi stanno sullo stesso piano oggi, abituati per troppo tempo a spartirsi il presente e il futuro. Ma quello che ci si chiede, nell' ora dell' ammaina bandiera, è come abbia fatto Michel Platini, uomo furbo se ce n' è uno, a farsi trovare solo in mezzo al campo, a ignorare che tessera dopo tessera si andava componendo un puzzle dalla soluzione prima delicata, poi pericolosa e infine esplosiva. Un' escalation di anomalie che Platini ha sempre affrontato alzando le spalle, «ouf!» e pare di sentirlo.
Pistola fumante A cominciare dalla pistola fumante, almeno per la commissione etica, quell' assegno da 1,8 milioni di euro firmato da Blatter ricevuto 9 anni dopo la consulenza. E guardacaso in piena campagna elettorale dell' allora Supremo. Alla richiesta di motivazioni se non ancora di giustificazioni che ti fa il presidente dell' Uefa? Prova il tunnel: «Non so niente, dei contratti se ne è sempre occupata mia moglie».
Giocoliere con le parole come lo era da calciatore. Una palla di neve diventata valanga: difficile pensare che lui fosse inconsapevole degli effetti collaterali. Più probabile si sentisse invulnerabile. Dotato di bacchetta magica per far sparire le magagne sotto il tappeto. Nel suo caso rosso, passerella verso il trono. Così con la storia del figlio Laurent per anni dirigente della società di investimenti qatariota legata al gruppo che gestisce il Paris Saint Germain, uno dei club dai bilanci drogati e vertiginosi.
Proprio quelli che il fairplay finanziario voluto da Platini avrebbe dovuto punire. Qualcosa da dichiarare? Ouf! E siccome sceicco chiama sceicco nemmeno la giravolta del 2010 ha scalfito la sua onnipotenza.
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All'Eliseo, quella notte, l' allora presidente francese Sarkozy trattava affari con il Qatar, cena di Stato e tra gli invitati c' era pure Michel. Fino all' antipasto il Mondiale 2022 l' avrebbe assegnato agli Usa, dopo il filet de boeuf gli stava più simpatico il Qatar. Come un Blatter qualsiasi. Richiesto di spiegazioni, Platini è sempre stato coerente: non ne ha mai date.
Si credeva intoccabile Le Roi, ma non solo l' hanno toccato: l'hanno anche buttato giù.
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