I GIORNI DELL’IRAN - A TEHERAN È VIETATO TIFARE, PERÒ TIFANO TUTTI, ANCHE IL PRESIDENTE ROHANI: “NON È IL RISULTATO CHE CONTA MA L’EMOZIONE” - E STASERA CONTRO LA BOSNIA “I GHEPARDI” DI QUEIROZ POSSONO FARE LA STORIA (MA DIPENDE DALL’ARGENTINA)

Cosimo Cito per "La Repubblica"

 

«Non è il risultato che conta, ma l’emozione», no, non è De Coubertin ma il presidente iraniano Rohani. Era in tv quando i suoi Persian Cheetas hanno pareggiato con la Nigeria, bicchiere di vino, piattino sul tavolo, tuta. Era in tv quando i suoi hanno perso con l’Argentina, ma solo per 1-0, dopo aver governato la partita, e solo per l’apparizione improvvisa di una cometa scagliata dal piede di Messi.

 

Era in tv un popolo intero, 77 milioni di tifosi che hanno scoperto improvvisamente com’è dolce e bello tifare, com’è rotondo e maligno il pallone, quanto può far bene allo spirito un Mondiale giocato bene. Stasera c’è la storia, difficile ma possibile. Battere i correligionari della Bosnia e attaccarsi alle radioline: se la Nigeria perde largamente con l’Argentina, il gioco è fatto: mai l’Iran nei tre Mondiali giocati si è spinto oltre la prima fase.

 

Teheran era tutto un brulicare silenzioso e clandestino, la sera in cui Messi ha accoltellato i ghepardi al 91’. Ufficialmente i locali non possono trasmettere le partite dei Mondiali, non è conveniente, secondo la legge islamica in vigore dal 1979, dare a uomini e donne l’occasione di incontrarsi tutti insieme in un luogo pubblico, e tifare, verbo sconosciuto, mai sentito.

 

Le tv però illuminano gli scantinati, i retrobottega dei locali: vietato tifare, però tifavano tutti. «Che adrenalina vedere una partita dentro una folla che ha la tua stessa passione » raccontava una ragazza, quasi sorpresa di quanto sia bello questo sport che si fa con i piedi, e quanto è bello stare insieme. Scene mai viste a Teheran, donne col velo che urlano il nome di Dejagah, del mitico Ghoochanneijhad, detto Gucci, attaccante da zero gol finora: la speranza di Queiroz, per la notte del dentro fuori, è lui.

 

Frammenti di un discorso quasi amoroso, quasi erotico con uno sport che il regime ha prima combattuto, poi usato. E fa sorridere, ora, pensare che i Mondiali arrivano in Iran in leggera differita, qualche secondo necessario a cancellare le immagini di donne semivestite sugli spalti del lascivo Brasile. In Iran del resto è appena sbocciata una primavera sportiva inedita e florida. Nello scorso weekend la nazionale di pallavolo ha battuto due volte l’Italia in World League.

 

Il nuovo Iran porta a casa ori olimpici nella greco-romana, nel sollevamento pesi, un incredibile argento nel lancio del disco col Ehsan Hadadi, nel ciclismo c’è un intero team, il Tabriz Petrochemical Team, con uno scalatore che farà parlare, Mirsamad Poorseyedigolakhour. Ora però a Teheran non si parla d’altro: ci sono questi ottavi da strappare alla Nigeria, in una sfida terzomondista che è tutta gioia e oscurantismo, tifo e divieti.

 

Anche a Lagos è vietatissimo guardare le partite in pubblico, perché il calcio “è lo strumento con cui l’Occidente vuole corrompere i fedeli”. Musulmani contro, e musulmani in viaggio. Saranno quattromila gli iraniani sugli spalti dell’Arena Fonte Nova, 19 ore in volo nei cieli del mondo per esserci, e perché stasera forse si fa la storia.

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