GIORGIA SULL'ORLO DI UNA CRISI DI NERVI – IL BLITZ DELLA MELONI PER ELEGGERE COME GIUDICE DELLA CORTE COSTITUZIONE IL SUO CONSIGLIERE GIURIDICO A PALAZZO CHIGI, FRANCESCO SAVERIO MARINI, RISCHIA DI ESSERE UN FALLIMENTO – NELLA SEDUTA COMUNE ALLA CAMERA SERVONO 363 VOTI E ALLA MAGGIORANZA MANCANO I NUMERI. LA DUCETTA POTREBBE ORDINARE DI VOTARE SCHEDA BIANCA – LA PREMIER È FURIOSA PER LA FUGA DI NOTIZIE DALLA CHAT DEL PARTITO, VA A CACCIA DEGLI “INFAMI” E MINACCIA: “POSSO PORTARE TUTTI AL VOTO E DICO ANCHE CHE FORSE MI CONVIENE” – IO SO’ GIORGIA VUOLE “METTERE LE MANI” SULLA CONSULTA PER BLOCCARE L'AUTONOMIA LEGHISTA E BLINDARE IL PREMIERATO – IL DAGOREPORT
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PERCHE GIORGIA MELONI E COSI INCAZZATA CON LA \'TALPA\' CHE HA SPIFFERATO AI GIORNALI IL BLITZ SULLA .
1. CONSULTA, MELONI FORZA LA MANO MA RISCHIA NEL VOTO SU MARINI
Estratto dell’articolo di Gabriella Cerami per “la Repubblica”
GIORGIA MELONI - CONFINDUSTRIA
Doveva esserci l’effetto sorpresa, l’attacco a bocce ferme, ma al blitz di Giorgia Meloni le opposizioni sono pronte a rispondere compatte abbandonando l’Aula o non partecipando al voto. E, pallottoliere alla mano, anche i più ottimisti del centrodestra faticano a scorgere il raggiungimento della maggioranza necessaria quando, questa mattina, il Parlamento in seduta comune sarà chiamato ad eleggere un giudice della Corte costituzione dopo le dimissioni, nel novembre 2023, della presidente Silvana Sciarra.
Lo dimostra lo scambio di messaggi avvenuto, ieri a tarda sera, nella chat di Forza Italia. Sono circa le 20 e 30 quando il capogruppo Paolo Barelli scrive: «Domani presenza obbligatoria. Il candidato da votare è Francesco Saverio Marini». Neanche mezz’ora dopo il messaggio viene cancellato e sostituito: «Allora, allo stato confermiamo l’obbligo di presenza, ma ancora non definitiva la scelta di voto per ulteriori valutazioni in corso tra i leader».
GIORGIA MELONI CONSULTA – VIGNETTA DI ELLEKAPPA
Meloni non ha alcuna intenzione di bruciare il nome del consigliere giuridico di Palazzo Chigi, che ha scritto la riforma del premierato, tanto cara a Fratelli d’Italia, e sa che i numeri potrebbero non essere dalla sua parte. Così in extremis potrebbe dare indicazione di votare scheda bianca.
[…] serviranno i tre quinti di Camera e Senato: 363 voti. Il tam tam nelle chat per richiedere la massima presenza va avanti ormai da venerdì, a dimostrazione di quanto per la premier sia alta la posta in gioco. Non è un caso se i capigruppo di FdI, sempre a tarda sera, firmano una nota per lanciare un appello che però suona come una provocazione alla minoranza e dà l’idea del momento di difficoltà: «Dobbiamo dare seguito all’esortazione del Presidente della Repubblica», che in occasione della cerimonia del Ventaglio aveva evidenziato un «vulnus alla Costituzione». Ma i dubbi dell’opposizione sono legati al nome di Francesco Saverio Marini e i partiti non intendono cambiare strategia.
Il centrodestra può contare, sulla carta, su 357 voti: già sei in meno rispetto al numero magico. Non solo. Tra questi 357 deputati e senatori sono calcolati anche i presidenti di Camera e Senato che per prassi non partecipano allo scrutinio. Ammesso che, in emergenza, la premier non decida di far saltare ogni forma di galateo istituzionale. Prevista l’assenza anche del ministro degli Esteri Antonio Tajani in missione.
[…] chi controlla il pallottoliere, sa già che difficilmente potrà contare, su Umberto Bossi, Marta Fascina, Michela Brambilla, Ugo Cappellacci, Cristina Rossello o Raffaele Fitto, quest’ultimo impegnato a Bruxelles. Giusto per fare qualche nome. Ogni voto sarà dunque cruciale, come i tre delle minoranze linguistiche. A questi si aggiungono alcuni parlamentari del Misto come Mara Carfagna, Lorenzo Cesa e Antonino Minardo alla Camera, Mariastella Gelmini e Giusy Versace al Senato. Dal Pd si sgancia invece Pier Ferdinando Casini: «È istituzionalmentedoveroso», dice.
Su questo terreno scivoloso per la maggioranza, le opposizioni ritrovano compattezza. Il Pd ratifica la decisione questa mattina e uscirà dall’Aula insieme a Avs. M5s potrebbe restare nell’emiciclo ma non ritirare le schede oppure andare via. Anche Italia viva fa sapere che non parteciperà al voto e Azione, malgrado le voci di una possibile intesa con la maggioranza, annuncia: «Staremo fuori anche noi». […]
2. IL PIANO DELLA PREMIER NEUTRALIZZARE I QUESITI SU AUTONOMIA E IUS SOLI
Estratto dell’articolo di Tommaso Ciriaco per “la Repubblica”
Giorgia Meloni - foto lapresse
Mettere le mani sulla Consulta. Sovvertirne gli equilibri, spostarli a destra, per orientare le decisioni politicamente più sensibili. Annacquare l’autonomia fin dal pronunciamento sul testo approvato in Parlamento previsto per novembre, senza affossarlo del tutto. Smontare i quesiti referendari sulla riforma leghista che saranno esaminati invece all’inizio del 2025. Obiettivo finale: blindare il premierato, quando un giorno diventerà legge.
Il piano di Giorgia Meloni suona molto trumpiano, imita le mosse del tycoon sulla Corte suprema.
GIORGIA MELONI SI INCAZZA CON I PARLAMENTARI DI FDI IN CHAT
La premier immagina di ricalibrare la composizione della Consulta. Il primo atto di questa strategia passa proprio da un blitz per eleggere il suo consigliere giuridico a Palazzo Chigi. Il secondo, a dicembre, punta ad assicurarsi due dei tre giudici in scadenza.
Ecco perché la fuga di notizie sulla scelta di Francesco Saverio Marini è stata disastrosa per Palazzo Chigi: ha privato l’operazione dell’effetto sorpresa e ha impedito ai grillini di donare voti nel segreto dell’urna. E ha spinto Meloni ad accarezzare l’idea di una resa dei conti.
I cattivi pensieri generano mostri nella corte meloniana. Al mattino, una task force di pretoriani inizia a scandagliare le modalità con cui sono stati memorizzati nomi nella “chat delle talpe”. Quella, per intenderci, degli «infami» (la definizione è della premier) che hanno appunto svelato — e forse rovinato — il colpo a sorpresa su Marini. Screenshot alla mano, i solerti investigatori notano un dettaglio: sono in pochi a potersipermettere il lusso di memorizzare la premier come “Giorgia” (anche rinominandola adesso, la dicitura resta indelebile nelle conversazioni del passato). E ancora: è strano che la sottosegretaria Wanda Ferro sia indicata con la V. E poi i colori dei nomi su WhatsApp, diversi per ciascun iscritto al gruppo: basterebbe confrontarli. I più accaniti si spingono oltre, sognano una prova di fedeltà che suona più o meno così: cellulare sul tavolo e vediamo chi può dirsi innocente. Un po’ tattica, un po’ bluff per compattare le truppe.
Cattivi pensieri, dicevamo. Come quelli in cui è tornata a crogiolarsi Meloni, prendendo atto del possibile fallimento del blitz. Dice, riferiscono, che così non si può andare avanti. Che è stufa (lo sostiene in modo meno diplomatico, ma il senso è quello). Annuncia riflessioni che precedono reazionidrastiche. «Posso portare tutti al voto — è il senso dei suoi ultimi ragionamenti — e dico anche che forse mi conviene ».
È la tentazione del reset che ritorna. C’è tattica e voglia di fuga. E problemi fin troppo concreti: una legge di bilancio amara da approvare, previsioni di crescita riviste al ribasso, enormi incognite internazionali. Con un’aggravante: se fallisce l’operazione Consulta, il governo rischia davvero di traballare.
Sull’autonomia, innanzitutto. Il 12 novembre la Corte si esprimerà sulla legittimità costituzionale della legge. Una bocciatura farebbe saltare i nervi alla Lega, mentre un ridimensionamento della riforma verrebbe vissuto con favore da Palazzo Chigi. Portare a destra gli equlibri aiuterebbe a dissolvere l’incubo di Meloni: il referendum sull’Autonomia.
sergio mattarella giorgia meloni
Se la riforma superasse il primo vaglio sul merito della legge, la Consulta si pronuncerebbe a inizio 2025 sui quesiti. Poco prima, a dicembre, la destra proverà ad eleggere altri due giudici in scadenza, indicati nel 2015 dalla sinistra. Senza dimenticare che dalla Corte passerà anche il referendum sulla cittadinanza, in grado di compattare i nemici della premier.[...]
Per Meloni, la battaglia finale si giocherà sul premierato. L’ordine di Palazzo Chigi su questa riforma è stato: non correre. L’eventuale referendum arriverà nel 2026. Qualche giorno fa, incrociando un esponente del centrodestra, la premier si è lasciata andare contro il solitodeep state che mirerebbe ad affossarla. Se bisognerà sfidare il Quirinale, è il ragionamento, andrà fatto quando si avvicinerà la fine della legislatura. Per ridurre gli effetti nefasti di uno scontro col Presidente.
GIORGIA MELONI - IGNAZIO LA RUSSA - SERGIO MATTARELLAFRANCESCO SAVERIO MARINI