BEVI E GODI CON CRISTIANA LAURO - VINITALY CONFERMA LA FORTUNA E LA FAMA DEI VINI ITALIANI NEL MONDO. MA POVERI VERONESI, INVASI PER 4 GIORNI DA UN POPOLO MALEDUCATO DI VISITATORI ESIGENTI, IRRISPETTOSI, TRUZZI E CAFONI - NESSUNO PERDONA IL SUCCESSO DEI VINI DI BRUNO VESPA E MASSIMO D’ALEMA, CHE ATTIRANO FROTTE DI HATER. PERCHÉ SE SEI UN PERSONAGGIO FAMOSO, IL TUO PRODOTTO DEVE ESSERE CATTIVO ANCHE QUANDO NON LO È. MA SAPETE CHI SONO I VIGNAIOLI OGGI?
Cristiana Lauro per Dagospia
Peggio della fatica di partecipare a una fiera c’è solo la sfiga di vivere nella città che la ospita.
Vinitaly va a gonfie vele e se ci dedicassimo tutti in coro alla ricerca del pelo nell’uovo, mettendo in fila per due difetti e magagne - alla fine della fiera - vincerebbero i numeri. Vinitaly porta a Verona un sacco di soldi in cassa, ma subisce, per quattro interminabili giorni, un popolo maleducato di visitatori esigenti, irrispettosi, truzzi e cafoni. Poveri veronesi!
Bruno Vespa non sta fermo un attimo. S’è ciucciato l’intero Vinitaly presentando i suoi vini tra bagni di folla, giornalisti, blogger, sommelier e sbevazzoni provenienti da ogni dove. Ma il web, il mondo dei social e dei blogger - molto più cinico che democratico - spara più hater al secondo dell’ M16 di Tony Montana e a Bruno Vespa, come a Massimo D’Alema, non perdona la passione per il vino, la competenza e il fatto che lo producano.
Quando il personaggio supera l’obiettività del giudizio sul vino - perché quelli prodotti da Vespa e da D’Alema sono molto più difendibili che attaccabili - si viene meno al principio della laicità che è condizione fondamentale per diventare bravi degustatori. Infatti sarebbe meglio assaggiare “alla cieca”, a etichetta coperta, prima di assegnare un punteggio o esprimere un giudizio che abbia senso su una bottiglia di vino. Ma il giornalista e il politico, secondo il condominio social, sono Lucifero e Belzebù e il vino di due diavolacci non può che essere cattivo. Dev’esserlo per forza.
La maggior parte dei vini presenti sulle nostre tavole e soprattutto quelli che ottengono i più importanti riconoscimenti dalla critica internazionale di settore, sono prodotti da uomini di finanza, da industriali, non da contadini con le mani sporche di terra e gli scarponi imbrattati di fango. Non c’è niente di male, ma non pensiate che chi lavora le vigne in campagna come Valentini, Rinaldi e Cappellano, ad esempio, siano il modello di riferimento diffuso fra i produttori di vino.
Sono eccezioni, ultimi singulti di uno dei tanti mestieri che non abbiamo più voglia di fare, come stirare bene le camicie, fare un orlo ai pantaloni, un’asola a mano, fare la spesa acquistando solo prodotti di stagione, cucinare i piatti della nostra tradizione e via dicendo. E se vogliamo dirla tutta, Chateau Margaux è stata per più di dieci anni di proprietà della famiglia Agnelli e nessuno ha battuto ciglio. Pardon, dimenticavo che loro sono francesi.
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