LA RELIGIONE DI DOMANI: IL VEGANESIMO - IN UN ANNO I VEGANI IN ITALIA SI SONO TRIPLICATI, PASSANDO DALL’1 AL 3% DELLA POPOLAZIONE MENTRE DIMINUISCONO I VEGETARIANI - L’ISTAT HA MESSO I LORO PRODOTTI NEL PANIERE MA MANGIARE SENZA CARNE HA I SUOI RISCHI - CHI VUOLE PERSEVERARE HA BISOGNO DI INTEGRATORI
Elvira Naselli per La Repubblica - Salute
Tanto continuano a crescere i numeri - quello dei vegani è triplicato in un anno - che gli alimenti cruelty free sono addirittura entrati nel paniere dell’Istat, che misura i consumi degli italiani. Dall’1 al 3% in un anno, il numero dei vegani, mentre scende quello dei vegetariani, passando al 4,6% (meno 2,5% rispetto all’anno precedente), secondo il rapporto annuale Eurispes del 2016. Certo, non parliamo di decine di milioni di persone. Ma, come dicono gli economisti, è un trend in salita.
Tendenza che non piace a molti nutrizionisti, soprattutto i pediatri. Anche perché molti tendono a far da soli, Perché i risultati li consegna la cronaca: bambini con gravi disturbi neurologici, sottopeso, con fragilità irrecuperabili. Denunce dei medici ospedalieri, ricorsi al tribunale, addirittura potestà genitoriali contestate. Non ci si può inventare vegano, insomma.
E non si può pensare di imporre ai figli un regime così particolare - che implica carenze anche importanti - senza la supervisione attenta e continua di un pediatra esperto. Per non parlare poi degli animali domestici, cani e, ancor più gatti, costretti ad una dieta vegetariana e vegana, loro che nascono carnivori.
Quindi niente fai-da-te. Mai e per nessun motivo. «Se mi si chiede qual è il regime alimentare corretto per far crescere un bambino in modo sano - ragiona Alberto Villani, presidente della Società italiana di Pediatria - non posso che rispondere che ha bisogno di mangiare anche carne e pesce, sebbene il fabbisogno proteico sia stato di recente aggiustato al ribasso. Se poi mi si chiede se sia possibile vivere senza mangiare carne e pesce, la risposta è sì.
Ma con controlli continui e integrazioni di un pediatra esperto in nutrizione. Per i bambini, che sono organismi in accrescimento, ma anche per le donne in gravidanza e in allattamento. Due anni fa al Bambino Gesù abbiamo ricoverato una bambina con gravi danni cerebrali. Non si riusciva a individuarne il motivo finché non abbiamo scoperto che i genitori erano entrambi vegani e che la mamma aveva allattato senza alcuna supplementazioni di vitamina B12.
Erano disperati, hanno cominciato a far mangiare carne alla bambina, ma purtroppo i danni erano irreversibili. E di casi così purtroppo ce ne sono tanti. Non si pensa, con leggerezza, agli effetti di una dieta che in sé è squilibrata ».
Il controllo di un medico pediatra è dunque fondamentale, ma spesso le famiglie che compiono una scelta vegan si sentono osteggiate dal sistema sanitario e difficilmente vi accedono, se non in caso di problemi. Inoltre, non tutti i pediatri di base - o ospedalieri - hanno competenze specifiche in alimentazione.
«È vero, i centri non sono dappertutto - premette Elvira Verduci, pediatra all’ospedale San Paolo di Milano e docente di Alimentazione in età pediatrica all’università - e per questo la Sinu (società italiana di nutrizione umana) ha in mente di preparare un documento condiviso sulle diete vegetariane e vegane, che certamente non possono essere consigliate alla popolazione generale ma che comunque vengono seguite da molte famiglie. Quindi il pediatra non deve voltare le spalle, sennò spinge i genitori verso internet o il passaparola, con conseguenze negative per la salute dei bambini. Bisogna dare i consigli giusti, monitorare una volta al mese la crescita, controllare il loro diario alimentare, verificare i dosaggi.
E poi supplementare con vitamina B12, eventualmente con Omega 3, e utilizzare accorgimenti per assumere calcio, ferro e zinco con alcuni alimenti». Insomma, crescere da vegani non è impossibile, ma non è cosa che si possa fare con la mano sinistra. Soprattutto per i soggetti più vulnerabili, come bambini, donne in gravidanza e allattamento.
Uno studio norvegese recente, appena pubblicato su American Journal of Epidemiology, ha infatti dimostrato - su oltre undicimila gravidanze in 11 Paesi - come chi seguisse una dieta troppo povera di alimenti da fonti animali avesse un rischio aumentato del 21% di parto prematuro. Rischio legato alla carenza di vitamina B12, che è sì provocata d a diete prive di prodotti animali, ma anche a malnutrizione e povertà.