“IL METOO È UNA FORMA DI COMMERCIO” – JESSA CRISPIN, AUTRICE DI “PERCHÉ NON SONO FEMMINISTA”, RANDELLA I MOVIMENTI PATINATI E LE SEMPLIFICAZIONI DELLE DONNE FRUSTRATE - IL 'METOO' SERVE SOLO PER LE DONNE BIANCHE DELLA CLASSE MEDIA CHE POSSONO COMPRARSI “UNA VIA DI USCITA DAL PATRIARCATO”
Costanza Cavalli per “Libero Quotidiano”
Addomesticato, patinato, televisivo, inconsistente e infine maschilista e classista, il femminismo degli anni Dieci, #MeToo e #Timesup inclusi, è sempre una pistola carica: per annientarlo ci voleva una iperfemminista.
Jessa Crispin è una scrittrice e un' attivista che detesta i movimenti patinati e le semplificazioni per donne frustrate. Le sue tesi, contenute nel pamphlet “Perché non sono femminista, un manifesto femminista” (Big Sur, pp.132, 16,50 euro), sono state scritte prima che la puzza di Weinstein bruciato insinuasse scandali in ogni ufficio della società americana benpensante (e nel mondo).
E disintegrano il femminismo contemporaneo, che Crispin disegna come banalizzato e innocuo, «universalmente accettabile» perché risulti «più appetibile al pubblico, sia maschile che femminile».
In poche parole, «totalmente inutile». Non che l' autrice sia una conservatrice che aspira alla restaurazione, al contrario: è una guerrigliera radicale, un po' Thomas More un po' Savonarola, che sogna a una società ideale in cui la donna non aspiri a occupare il posto di un uomo.
Lo pseudo femminismo di oggi, disossato dalla concretezza, privo di filosofia, è solo una scalcinata ideologia, una mano di vernice rosa sull' arrivismo, malattia anche femminile: si scompiscia per l' infragilimento maschile, ma non si accorge della pochezza cui tende.
«Il nostro criterio (di successo) è quante donne sono amministratrici delegate di grandi società, quante firme dei New York Times sono di donne, qual è la percentuale delle laureate in medicina», scrive Crispin.
I movimenti come #MeToo, #Timesup, gli abiti neri alla cerimonia degli Oscar, le magliette "We should all be feminist" (Dovremmo tutte essere femministe), le girl squad (le "squadre femminili" di vip sulla ventina, tra cui dominano la cantante Taylor Swift, le modelle Gigi e Bella Hadid) sono solo una forma di commercio che si alimenta di consenso sociale e di visibilità.
Inoltre, scrive Crispin, quello di oggi è un «femminismo bianco», cioè a beneficio di donne bianche della classe media, che possono comprarsi «una via di uscita dal patriarcato» e dimenticano le classi povere e le donne sole perché «il potere è bello» e piace a tutte, oltre che a tutti.
Così, ben volentieri si dimenticano di Andrea Dworkin, saggista, attivista degli anni '80, affetta da obesità e disinteressata alla sua immagine, che «esortava le donne a considerare i loro rapporti interpersonali, il loro lavoro, la loro esistenza quotidiana, per capire come tutto questo implicasse la partecipazione a sistemi di oppressione e infelicità».
STESSO POTERE
Oggi, insomma, al loro meglio le donne hanno semplicemente raggiunto lo stesso potere degli uomini: «Non è un mondo più egualitario; è lo stesso identico mondo, solo con più donne dentro».
E quindi «anche tu, donna, sei il patriarcato», parte del sistema, e «l' idea di poter avere un impatto maggiore influenzando la cultura dall' interno è nel migliore dei casi ingenua, ipocrita nel peggiore». Alla fine «non ti sei solo venduta, ti sei convertita».
Ma una sorpresa c' è, in questo saggio. L' analisi radicale di Crispin, dopo aver smascherato lo strabismo delle femministe che elogiano come modelli le donne individualiste che si mantengono giovani, belle e sessualmente disponibili a ogni età, cioè l' ideale maschile, fa un passo avanti e apre uno spazio inatteso.
Ai limiti estremi della sua critica l' autrice ritrova un senso nei valori tradizionali: questi sono da maneggiare con una consapevolezza nuova, ma non da distruggere. Bisogna lavorare per un sistema diverso da quello maschile, scrive Crispin, perché finora «ci siamo fatte tagliare fuori dalle tradizioni e dai rituali, dai legami familiari e intergenerazionali, dalle comunità e dal senso di appartenenza.
Abbiamo finito per concepire tutto ciò come lavoro non retribuito anziché come qualcosa che valeva la pena di preservare. È vero, quei ruoli ci erano imposti, ma è anche vero che sono cose che hanno un valore e andrebbero salvaguardate».
Si tratta di chiedersi «come iniziare ad apprezzare il fatto di dare quanto apprezziamo il fatto di prendere. Come partecipare e contribuire al mondo, al di là del lavoro che facciamo». Quando si va molto in là, alla fine ci si ritrova, anche se con vestiti diversi, sempre a casa.
CAMPAGNA DI DENUNCIA DELLE MOLESTIE METOO