MENTANA, CHI? “ESSERE LA COMPAGNA DI ENRICO MENTANA NON MI HA AVVANTAGGIATA E NON MI HA CREATO PIU' PROBLEMI” – FRANCESCA FAGNANI APRE LE VALVOLE A “OGGI”: "MI STUPISCE CHE LA DOMANDA SU MENTANA SPUNTI IN OGNI INTERVISTA A ME E MAI A LUI. È UN RETAGGIO CULTURALE, ALLE GIORNALISTE DONNE SI CHIEDE DELLA VITA PRIVATA, AI DIRETTORI MASCHI NO" – LE LACRIME DI FEDEZ E SALVINI, IL LIBRO SULLA MALA ROMANA E IL SUCCESSO: “HO VISTO SALIRE E SCENDERE RAPIDAMENTE PERSONE BEN PIÙ IMPORTANTI DI ME. QUESTO MI RICORDA SEMPRE CHE 'SUCCESSO', IN FONDO, È UN PARTICIPIO PASSATO..."
Fagnani "cosa l'ha fatta innamorare di sua moglie?"
— Sirio (@siriomerenda) April 9, 2024
Fedez "il sesso"
Fagnani "ha ragione Red Ronnie...lei si mette proprio nei guai da solo"#Fedez #Belve #Fagnani #Ferragni pic.twitter.com/Gn7hT1mmCP
Estratto dell'articolo di Marianna Aprile per "Oggi"
francesca fagnani enrico mentana
Taccuino rosso in mano e le espressioni del viso al posto dell’evidenziatore, per sottolineare stranezze, confessioni e cedimenti dell’interlocutore. Per il pubblico di Rai 2, e per chiunque apra anche solo una volta al giorno i social, Francesca Fagnani è questa: la giornalista cui a Belve tutti raccontano cose mai dette o spiegano meglio cose note. Dapprima, le intervistate erano solo donne, poi sono arrivati anche gli uomini.
E gli uomini, da Fagnani, piangono spesso: è accaduto a Matteo Salvini nella prima puntata di questa nuova stagione, a Fedez nella seconda, ma in passato si erano già sciolti in lacrime Rocco Siffredi, Massimo Giletti, Antonio Conte. «Succede quando l’intervistato ti consente, e si concede, di andare in profondità. Non con tutti si riesce».
enrico mentana e francesca fagnani con i loro cani
La speleologia umana esercitata da Fagnani piace al punto che nel giro di poche stagioni la trasmissione è passata dal Nove a Rai 2 e dalla seconda alla prima serata. Con ascolti che hanno stupito, e un po’ spaventato, persino la giornalista romana che lo scorso anno ha co-condotto il Festival di Sanremo:
«Per come sono fatta, tendo ad aver paura di non essere all’altezza di quello che mi sta succedendo. Davanti al 10% di ascolti la tentazione è stata chiamare la Rai e dire “Ok, è andata bene, fermiamoci qui”. La sola reazione che ho è un’ansia che mi porta a lavorare il triplo. Ho visto salire e scendere rapidamente persone ben più importanti di me e questo mi ricorda sempre che “successo”, in fondo, è un participio passato».
Il successo è anche una rivincita su qualcosa o qualcuno?
«Su niente e nessuno. Arriva dopo 20 anni di gavetta, lo vivo con gioia e coi piedi saldi a terra».
Tacco 12 e piedi per terra, Fagnani coltiva fin dagli esordi della sua carriera un profondo interesse per la criminalità organizzata. A quella romana ha dedicato il suo primo libro, Mala – Roma criminale, un’inchiesta che pare la sceneggiatura di una serie tv, con dialoghi estrapolati da intercettazioni e interrogatori, e personaggi che sembrano finti: «Invece non solo esistono ma hanno in mano la Capitale».
Uscirà il 30 aprile per Sem e qui la giornalista ne parla per la prima volta «La criminalità è il tema su cui lavoro da sempre. Il libro è una tappa importante di questo percorso: quando ho scritto “fine” non sono riuscita a chiudere il file per una settimana. Non riuscivo a staccarmi. Ci ho lavorato sei mesi, studiando un’intera libreria di atti giudiziari».
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fedez e francesca fagnani a belve
In Mala racconta la malavita romana a partire dall’omicidio, il 19 luglio 2019, di Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, capo degli Irriducibili, i tifosi della curva nord della Lazio, con gravi precedenti legati al traffico di droga. Perché ha deciso di partire da questo omicidio?
«Ho seguito le indagini dal primo giorno, e ho deciso di fare di Piscitelli una sorta di fil rouge del racconto di quel mondo perché sedeva a tutti i tavoli che contano della criminalità romana. Era un buon modo per raccontare le maggiori consorterie che la compongono: la ’ndrangheta, gli albanesi, i Casamonica.
Esiste un mondo, a Roma, di cui non si ha percezione vivendoci. Quando c’è stata l’inchiesta così detta Mafia Capitale si è raccontato molto delle commistioni tra politica e affari, la corruzione. Il mio è un altro pezzo di racconto della città.
È come se ci fosse una Roma sotterranea dominata da narcos, che ha il suo centro nelle periferie ma le cui propaggini arrivano ai Parioli, a Roma nord. Emergono contesti che rimandano ai tempi della banda della Magliana, con metodi messicani, tra sequestri, torture, sicari, tantissimo sangue. Con flussi di denaro enormi attorno al narcotraffico e per i quali si scatena una violenza insospettabile».
Che sembra affascinarla molto.
«Me ne occupo da tanto. Troupe al seguito, ho raccontato le periferie romane e napoletane. Nel 2012 fui io a tirar fuori, televisivamente, i Casamonica, quando per Servizio Pubblico riuscii a intrufolarmi in un blitz delle forze dell’ordine: la Digos pensava fossi coi Carabinieri, i Carabinieri che fossi al seguito della Guardia di Finanza».
Nel libro pubblica moltissimi dialoghi intercettati che sono agli atti. Perché?
«Mi pareva il modo più giusto di raccontare i protagonisti: attraverso le loro stesse parole. Non c’era bisogno di mediazione, sono dialoghi incredibili che svelano un mondo di doppi e tripli giochi, di persone che si autodefiniscono “la Cassazione” o “l’Isis” e donne che chiamano le pistole “le mie bambine”».
Si dice: «Roma non vuole capi». La sua ricostruzione della criminalità capitolina lo conferma?
«A Roma i capi ci sono eccome, figure criminali che tengono la città da 40 anni. Come Michele Senese, al vertice di un cartello del narcotraffico in cui sono cresciute figure importantissime. O come Ciccio D’Agati, da decenni referente di Cosa Nostra a Roma. Nel libro cerco di ricostruire l’organigramma di questo cartello, a cominciare dalla guerra di potere tra due gruppi criminali molto forti che si è scatenata dopo la morte di Piscitelli.
Morto lui, saltano gli assetti che garantivano una pace apparente. Roma è una città che sembra tranquilla e pare non cambiare mai. Ma nella sua criminalità le cose sono cambiate molto e in fretta. I criminali albanesi della Capitale, nati come manovalanza al servizio delle altre consorterie, in vent’anni si sono presi mezza Roma, sono tra i narcos più potenti d’Europa, trattano direttamente coi cartelli sudamericani, alla pari con la ’ndrangheta, e hanno codici molto simili ai loro. I Casamonica, benché ora fiaccati da inchieste e arresti, sono cresciuti nella sottovalutazione generale».
Perché viene ucciso Piscitelli?
«Dava fastidio perché si sentiva più forte e autonomo di quello che era. Si comportava da re mentre il re in carica è Senese. Pretendeva di stabilire pax mafiose e alleanze non avendone i gradi. Anche in quel mondo ti devi saper comportare. È morto da uomo libero, ma su di lui c’era un’indagine che solo quando è morto ha potuto svelare la sua reale caratura».
Dopo la sua morte un pezzo grosso di quel giro, Fabrizio Capogna detto lo Squalo, ha deciso di collaborare coi magistrati. Perché è importante il suo pentimento?
«Si è pentito quando è finito in mezzo a una guerra tra due gruppi di narcos albanesi e rischiava la pelle. Il suo pentimento è una svolta perché Capogna è arrivato dal niente, ha fatto una scalata e conosce tutte le dinamiche e l’organigramma».
enrico mentana francesca fagnani
Nel libro racconta anche di incontri con dei boss, tra cui Ciccio D’Agata. Mai avuto paura?
«Con loro no. Girando nelle periferie, dove è molto facile rischiare di esser menati, ho imparato presto ad avere un approccio neutro, curioso e soprattutto non giudicante. Da cronista. Che poi è come mi comporto con gli ospiti di Belve».
Il capitolo di Mala sul giorno che cambia il corso della vita di Piscitelli, l’ha intitolato L’appuntamento, come la canzone di Ornella Vanoni che ha scelto come sigla di Belve. Qual è stato l’appuntamento che ha cambiato il corso della sua, di vita?
«Quello con Michele Santoro, 15 anni fa. Venivo dal lavoro con Minoli, ma Santoro è stata la mia grande opportunità, la mia università. Primo servizio, ottobre 2010: documentare la pace tra Gianni Alemanno e Umberto Bossi, il “patto della pajata”. Poi mi spedì a seguire l’emergenza rifiuti a Napoli».
Ma lei è quella di Belve o quella che in Mala incontra boss mafiosi nella periferia di Roma?
«A parte il tacco, che è un abito di scena, non c’è differenze tra le due “me”. Il giornalismo prende rivoli diversi che in comune hanno il metodo. Mi approccio allo studio dei personaggi che intervisto con la stessa cura con cui studio gli atti di un processo».
Lo ha appena fatto con Fedez. Lo abbiamo visto commuoversi, svicolare. Che impressione le è rimasta da questo incontro?
«È stata un’intervista lunghissima, un ritratto per ricostruire tutto il suo percorso, anche prima di Chiara. Ho visto un Fedez libero, con una grande autonomia di pensiero. Dà la sensazione di essere in una fase di recupero del se stesso delle origini, sembra in un momento di libertà psicologica molto forte.
francesca fagnani foto di bacco
E la libertà, quando la ritrovi, è sempre inebriante. Nelle interviste ci sono persone che ti permettono di toccarle in profondità e altre che ti lasciano in superficie. Federico si è mostrato a fondo perché è uno in grado di analizzarsi, guardarsi dall’esterno con una certa obiettività. Non è da tutti».
Ha pianto anche Matteo Salvini. Se lo aspettava?
«Un po’ sì, ed erano lacrime autentiche. Succede spesso su quella domanda finale: “Se potesse riportare in vita qualcuno e dirgli qualcosa chi sarebbe e cosa gli direbbe?”. È una domanda che faccio sempre perché me lo sono chiesta io per prima».
Lei ha perso sua mamma nel 2015. Ci sarebbe lei nella sua risposta a questa domanda finale?
«Sempre. Lei e zia Lella, la tata che prima ha cresciuto lei e per un po’ anche me. A zia Lella vorrei chiedere scusa per certe crudeli stupidaggini che si fanno da bambini. A mia mamma vorrei poter dire che la amo. Non gliel’ho detto abbastanza. E vorrei scusarmi per il tempo non dedicato; quando sei giovane non ci pensi».
marco travaglio francesca fagnani enrico mentana
Le spiace che non sia qui a vederla raccogliere tanti riconoscimenti?
«Ha potuto vedere la mia soddisfazione professionale: quando nessuno mi conosceva io facevo già quello che mi piaceva e per questo mi sentivo già di successo. Rispetto ad allora, si è aggiunta solo la visibilità. Mi piace, ma non ne sono dipendente: prima e dopo la stagione di Belve scompaio dalla tv».
Il primo consiglio che cerca davanti a una decisione da prendere?
«Quello di mio padre. Durante Sanremo lo chiamavo pure durante la pubblicità. Il suo è lo sguardo di chi ti ama e ti dirà sempre la verità solo nel tuo interesse». Ho visto salire e scendere rapidamente persone più importanti di me e questo mi ricorda che "successo", in fondo, è un participio passato
gianluigi nuzzi francesca fagnani foto di bacco
Da 12 anni è la compagna di Enrico Mentana. La cosa l’ha più avvantaggiata o le ha creato più problemi?
«Nessuna delle due cose. Piuttosto, mi stupisce che la domanda su di lui spunti in ogni intervista a me e mai una su di me nelle interviste a lui. È un retaggio culturale: alle giornaliste donne si chiede della vita privata, ai direttori maschi no».
Lei si farebbe mai intervistare da Fagnani?
«Sì, credo mi divertirei molto. E che sarei sincera».
francesca fagnani vs massimiiliano minnocci aka brasile a dritto e rovescio 1