IL CINEMA DEI GIUSTI - “SETTE PSICOPATICI” È UNO DEI FILM PIÙ STRAVAGANTI E ATTESI DELLA STAGIONE - NON AL LIVELLO DI “IN BRUGES” DELLO STESSO REGISTA, MA UN FILM DI GRANDISSIMO DIVERTIMENTO PER I POST-TARANTINIANI E POST-GUYRITCHIANI - GRANDE CAST, NESSUN APPOGGIO CRITICO, IN POCHE SALE, VALE LA PENA RECUPERARLO…
Marco Giusti per Dagospia
Ieri sera sono andato a vedere uno dei film più stravaganti e attesi della stagione, "Sette psicopatici" di Martin McDonagh, il regista irlandese di "In Bruges", un piccolo capolavoro noir. Malamente uscito nei concitati giorni del Festival di Roma, "Sette psicopatici", malgrado il trionfo al Sundance Film Festival e un grande cast, da Colin Farrell a Cristopher Walken, da Olga Kurylenko a Tom Waits, non ha avuto nessun appoggio critico e è finito in poche sale a orari assurdi. Vale la pena di recuperarlo perché è un film di grandissimo divertimento per cinefili post-Tarantiniani, ma anche post-GuyRitchiani.
E per capire, magari con qualche errore, che non si può vivere solo di remake e di remake di remake. Le idee originali servono. Costruito come un film nel film, con la sceneggiatore irlandese (e alcolizzato) a Hollywood Colin Farrell che decide di scrivere un film che vede protagonisti sette psicopatici che entreranno poi fisicamente non solo nel suo copione, ma nella sua vita, è qualcosa che un produttore italiano medio ovviamente non produrrebbe mai.
Una specie di tour de force di sceneggiatura per fare combaciare tutti gli elementi e i personaggi che mette in scena. In pratica ogni psicopatico descritto da Farrell nel suo copione è un vero psicopatico con cui fare i conti prima o poi, anche prima e dopo i titoli di testa. Così il film si apre con due eroi di "Boardwalk Empire", Michael Pitt e Michael Stuhlberg, che vengono freddati dallo psicopatico Numero 1, mascherato serial killer di serial killer, che lascia sempre un jack di quadri sulle sue vittime, mentre i due discutono proprio di pratiche omicide.
Ma nella storia c'è anche un finto prete vietnamita che vuole vendicarsi degli americani dopo il massacro di My Lai. E un Tom Waits con coniglio (non chiedetemi perché) che cerca la sua compagna di omicidi efferati di orrendi serial killer che lui ha salvato da un giudice assassino. Su tutti questi personaggi bizzarri trionfano Christopher Walken come Hans Kieslowski, rapitore di cani assieme a Sam Rockwell, attore di Hollywood e miglior amico dello sceneggiatore e Woody Harrelson come gangster italo-americano pazzo e violento che rivuole a tutti i costi la sua Bonnie, la cagnetta shih-tzu che gli è stata rubata appunto dal duo Walken-Rockwell.
Mettiamoci anche Olga Kurylenko come bellissima donna del gangster e amante di Rockwell e una guest star spiritata di Harry Dean Stanton come quacchero che vuole uccidere il killer che gli ha trucidato la figlia. Impossibile da raccontare senza svelare troppo è un gioco di bravura per il regista-sceneggiatore e per i suoi pochi spettatori italiani. Non bello e riuscito come "In Bruges", ma assolutamente da recuperare.
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