“DEAN MARTIN E NAT KING COLE HANNO CANTATO CANZONI NAPOLETANE PIÙ DI PINO DANIELE E GIGI D’ALESSIO” - DARIO SALVATORI: “PER CHIUDERE LO SCAMBIO CON BRUNO GIURATO, VORREI SOLO AFFERMARE CHE L’AMERICA HA FORNITO STORIA E VISIBILITÀ MUSICALE A UNA GRAN QUANTITÀ DI PAESI, CHE PROBABILMENTE NON AVREBBERO AVUTO ALTRA ILLUMINAZIONE. L’ITALIA È FRA QUESTI” - “TOM JOBIM? SE NON FOSSE ARRIVATA LA FAMOSA TELEFONATA DI FRANK SINATRA, SAREBBE RIMASTO L’INVENTORE DEL TROPICALISMO, MA SOLO A CASA SUA. FELA KUTI? UN PACCO TOTALE. QUANTO A ME…” - VIDEO
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LA REPLICA DI DARIO SALVATORI A BRUNO GIURATO
Dario Salvatori per Dagospia
Giuro che la chiudo qui. Volevo solo ringraziare Bruno Giurato per le sue puntualizzazioni e soprattutto per ribadire che nessuno di noi due aveva tanta voglia di parlare dei Maneskin.
In altre epoche i contraddittori, le diatribe costituivano il sale della critica, oggi sono diventate rare e di solito piuttosto insipide.
Come non ricordare gli scambi all’acido prussico fra Indro Montanelli e Curzio Malaparte, che se ne dissero di santa ragione per tutta la vita, contando su scenari e sfondi irripetibili.
COLETTE ROSSELLI INDRO MONTANELLI
Malaparte a Capri o al Forte in love con Virginia Agnelli, Montanelli a Cortina con gli scarponcini con la sua Colette Rosselli.
Location che favorivano l’ozio e il piacere ma qualche volta l’odio al curaro, l’invidia, il livore, quel dolore fisico che suggeriva soddisfazioni estreme: il duello all’alba in punta di lama, ovviamente dietro il convento delle carmelitane.
E i critici di musica classica dei quotidiani? Rispettati e temuti. Uomini di cultura lucidissima, accademica, superbamente didattica. In redazione si vedevano poco.
Non avevano un contratto da redattori, né da inviati, né da corrispondenti o capo-servizio, ma da “critici”. Avevano la loro stanza: cinema. teatro, balletto, tv e musica.
Il boccascena della cultura. Teodoro Celli al “Messaggero”, ritenuto il principale wagnerista, mentre Mario Pasi al “Corriere della Sera”, proponeva spunti sui grandi direttori e contaminazioni coreutiche.
Celli adorava De Sabata, Pasi non ne voleva nemmeno sapere. Massimo Mila, fra tutti il più esposto politicamente, il quale, da buon alpinista, dalla “Stampa” sollecitava in continuazione i direttori artistici torinesi, in contrasto con Rodolfo Celletti, collezionista di incarichi e taglio divulgativo sulle colonne di “Epoca”.
L’ironia di Mario Bortolotto, veneto di nascita e trasteverino d’adozione, in grado di passare in esame da un lied romantico al Rossini buffo, in perenne urto con Fedele D’Amico, che rilasciava intuizioni dall’”Espresso”, dove qualche volta appariva in calce un asterisco: “Il Maestro D’Amico è in viaggio. Lo sostituisce Eduardo Rescigno.” Che stile! Che glamour!
Per chiudere il nostro scambio, che spero non abbia tediato troppo gli esigenti lettori di Dagospia, vorrei solo affermare che l’America ha fornito storia e visibilità musicale a una gran quantità di Paesi, che probabilmente non avrebbero avuto altra illuminazione.
L’Italia è fra questi Paesi. Dean Martin e Nat King Cole hanno cantato canzoni napoletane più di Pino Daniele e Gigi D’Alessio. A dozzine. Elvis Presley si fermò a tre. Ma hanno fatto epoca.
Tom Jobim? Se non fosse arrivata la famosa telefonata di Frank Sinatra che chiedeva di cantare “The girl from Ipanema”, il maestro carioca sarebbe rimasto l’inventore del tropicalismo, ma solo a casa sua.
Compay Segundo? Deve tutto all’immensa sensibilità musicale di Ry Cooder, chissà perché ritenuto solo un chitarrista.
Fela Kuti? Mi capitò di presentarlo al suo primo tour italiano, all’”Estate Romana”. Mi accorsi che teneva in mano il suo sax come un phon. Non aveva diteggiatura, le mani erano appoggiate sulla campana. Un pacco totale. Però aveva 24 mogli. Nessuna racchia. Non è da tutti.
eddie vedder musrat fatheh ali khan
Il pakistano Musrat Fatheh Ali Khan? Deve tutto a Eddie Vedder, altrimenti il suo qawwali e la sua visione del sufismo non sarebbero arrivati in tutto il mondo. In fondo è la stessa parabola di Ravi Shankar, il maestro del sitar, se non ci fosse stato un ragazzo di Liverpool, George Harrison, ad innamorarsi di quello strumento e rendere il maestro un divo pop forse sarebbe rimasto a casa anche lui.
Invece trascorreva più tempo in America che non in India. Al punto di mettere al mondo in tarda età una figlia americana, Norah Jones, cantante e delicata pianista che piace tanto agli studenti bianchi.
E la bufala della cosiddetta “world music”? Servì a Paul Simon per prendere le distanze da Art Garfunkel, con cui litigò per tutta la vita, e mostrare a tutti che poteva essere un buon divulgatore di musica “altra”, non solo quella del Central Park. Stesso discorso per Peter Gabriel, che non ne poteva più delle sue retoriche maschere e degli ormai polverosi Genesis.
paul simon under african skies
Infine, discorso a parte per Perez Prado, altra citazione di Giurato. Prado era totalmente americano. Già il fatto di suonare al Casinò dell’Avana per americani ricchi in cerca di svaghi sessuali lo testimonia.
Mi capitò di vederlo alla “Casina delle Rose”, già in disarmo, alle prese con il suo irresistibile mambo e una mezza dozzina di canzoni napoletane (soprattutto “Guaglione”, in Italia successo da alta classifica), tutto il resto standard ed evergreen americani.
Il suo problema fu un altro. Il suo nome era Damaso Perez Prado e suo fratello Pantaleon Perez Prado. Caddero nel tranello dozzine di impresari. Pantaleon, residente in Italia, sosteneva di avere un’orchestra. Ma era solo Pantaleon.
Quanto a me, la cultura americana, per niente “cancel”, probabilmente colonizzandomi (ma che piacere!) mi ha consentito di crescere con la più attraente musica del mondo, dal blues al country, dallo swing al rock and roll.
Il mio torcicollo nei confronti dell’America resiste, forse addirittura accentuato, trasformandomi forse nell’anello mancante tra Nando Mericoni e Fonzie, ma sempre a ciuffo eretto, bolo al collo, dignitoso ballerino di lindy-hop alla guida della mia Studebaker rossa del ’53.
LE PUNTATE PRECEDENTI:
I MANESKIN SONO DEI PROVINCIALI O SOLO DEI GRAN FURBONI? – DARIO SALVATORI: “SUL “DOMANI” BRUNO GIURATO AFFRONTA IL PROVINCIALISMO ITALIANO DI CERTI GRUPPI E CANTANTI, PARTENDO DAL FENOMENO DEL MOMENTO, I MANESKIN…”
LA REPLICA DI BRUNO GIURATO:
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