“NON ERO PIU’ IO” - JOHN GALLIANO RACCONTA LA SUA VITA PAZZA, IL LICENZIAMENTO DA CHRISTIAN DIOR E LA RINASCITA DA MARGIELA: “E’ LA MIA SECONDA CHANCE, ORA BASTA CON LA VITA OLTRE I LIMITI. SONO STATO DIPENDENTE DA DROGHE E RICONOSCO LE SCARICHE DI DOPAMINA CHE OGGI GENERANO I SOCIAL E IL BISOGNO DI GUARDARE SEMPRE IL CELLULARE”
Simona Marchetti per “la Repubblica”
Ai suoi massimi livelli, la moda ha un prezzo altissimo. John Galliano l' ha pagato tutto. Fino in fondo. Lui, il genio ribelle per eccellenza. John, l' uomo che ha stregato il fashion system per più di vent'anni. Galliano, il Golia della moda destituito da un video che lo ritraeva mentre si lanciava in insulti antisemiti e razzisti.
«Ho sbagliato - ammette - non ero più io, sono stato in cura e ho lottato ogni minuto per quattro anni. E dopo quello che ho visto, quello che ho passato e ho fatto passare agli altri, ogni mattina ringrazio perché sono ancora vivo, perché mi risveglio nel mio letto». Una fascia gli raccoglie i capelli, ieri biondi e colorati, oggi striati di grigio. Gli occhi studiano ogni parola, ogni domanda, ogni risposta.
A sei anni dallo scandalo che gli costò il licenziamento da Christian Dior, parla di sé come se ammirasse dall' alto un panorama distrutto, un luogo che non si può più abitare. La sua nuova residenza, infatti, è una nemesi: niente multinazionali del lusso, ma un luogo senza un logo, una maison che per propria volontà nasconde il volto dello stilista. È la Maison Martin Margiela, tempio dell' anonimato fondato dall' omonimo designer belga che oggi vive come un fantasma, invisibile a tutti ma presente in tantissime copie.
«Chi l' avrebbe detto? Io al posto di Martin, un amico, un collega eccezionale con cui ho diviso lo studio, all' inizio delle nostre carriere. Questa è una bellissima, impossibile seconda possibilità. Ho passato la vita a spingere me stesso e gli altri oltre i limiti, in nome della couture. Ora basta. Fine della storia. Voglio solo essere un creatore di vestiti».
Il suo studio è una stanza tutta per sé ritagliata dentro una sala spoglia, una delle tante del convento settecentesco che è la sede di Margiela a Parigi. È stato Renzo Rosso a volerlo qui, nominandolo a sorpresa direttore creativo nel 2014, quando soltanto pronunciare il suo nome era visto come un reato.
«Renzo mi è sempre stato vicino. Ci siamo visti molte volte mentre ero in riabilitazione. Ogni tanto mi chiedeva se volevo tornare a fare questo mestiere. Gli ho sempre detto di no. Poi, un' estate, se n' è uscito con la proposta impossibile: Margiela. Ho risposto no. Però gli ho promesso che avrei visitato la sede». La visita avviene di notte, quando negli uffici non c' è nessuno. Bastano pochi minuti per capire che invece sì, quel matrimonio s'ha da fare.
«A una condizione: non sarei venuto come curatore ma a navigare dentro l' estetica e la psicologia di Martin. È lo stesso impegno intrapreso con Dior: non m' interessava la retrospettiva dello stile di Christian, ma indagare la sua psicologia, il rapporto con la madre, le ossessioni. Chi si focalizza sull' eredità di un grande ne diventa vittima. È uno sbaglio comune».
Il lavoro di Galliano da Margiela è oggi uno dei più apprezzati per autorevolezza e creatività. Di più: in un momento in cui il fashion system punta su prodotti furbi e omologati, Galliano al contrario sceglie l' osservazione, la critica e il lavoro d' atelier. «Nell' ultima collezione Artisanal, quella dedicata all' haute couture, ho voluto indagare l' ambivalente potere della rivoluzione mediatica e dei social media. Lavoro con ragazzi giovanissimi, ammiro la potenza dell' informazione e della conoscenza a cui sono soggetti.
Mi spaventa, però, la dipendenza che like, commenti e attività virtuali generano. Sono stato dipendente da droghe e riconosco le scariche di dopamina che generano i social e quel febbrile bisogno di guardare costantemente il proprio cellulare. È un problema che dobbiamo considerare con grande attenzione, un mezzo che non sappiamo ancora governare con piena coscienza ».
Ma cosa c' entra la moda e il vestire con tutto questo? «La moda, come tutto il resto, sta reagendo alla rivoluzione con un abbassamento della qualità e una rinuncia all'autorevolezza. La tentazione è adeguarsi alla superficialità, al populismo. Questo mestiere, invece, è frutto di cambiamento di forme e volumi, non di furbizie dell' immagine. Questa scommessa sull' autorevolezza, a mio parere, premierà sul lungo termine tutti, non solo la moda. Oggi sembra rischioso investire sulla profondità perché tutto procede nella direzione opposta. Il mio consiglio, però, è di crederci fino in fondo, senza se e senza ma».