CHE BARBA! LA MARAINI FA IL CONTROPELO AGLI UOMINI CHE NON SI RADONO IL VISO: “IN QUEL MODO NASCONDONO LE LORO DEBOLEZZE” – LIBERO: “AMMAZZA CHE CATTIVERIA, LA DACIA, PENSA TE SE GLI SCIPPATORI BARBUTI CHE LE HANNO RUBATO LA BORSETTA, LE FREGAVANO LA MACCHINA...”
Francesco Specchia per “Libero quotidiano”
Quando si dice tirare per la barba. Dacia Maraini, pregiata intellettuale assai scossa da un scippo subìto (che s' è sentita in dovere di raccontare, con pathos, sul Corriere della sera) l' altro giorno si macerava in un interrogativo di quelli da marchiare il sonno. «Da dove viene per esempio la pratica tutta nuova di lasciarsi crescere la barba se non dai barbuti predicatori di odio?», si chiedeva. Mentre leggevo l' inquietante domanda, io mi carezzavo la barba. Non sospettando minimamente d' essere, peraltro, un seminatore d' odio.
Sicchè Dacia, forse sempre in riferimento ai pezzenti dotati di peluria sul volto che gli avevano fregato la borsetta, si chiedeva se la barba troppo cresciuta sui volti degli uomini d' oggi non fosse, in realtà, un singulto dell' orgoglio maschile in pericolo, del «corpo maschile svirilizzato». E citava Shakespare, la signora; e insufflava il sospetto che chi porta la barba non lo fa per moda -perchè «la moda non è mai neutra» - ma lo fa in virtù d' una fragilità interiore, di una perdita della dignità virile che ha un bisogno disperato di rappresentazione.
Insomma, la barba, per Dacia, oltre che accessorio per i seminatori d' odio sarebbe una sorta di lanugine protettiva per l' onore dei maschi depressi. Depressi e -massì, diciamola tutta - un po' pirla. Peggio ancora se i peli della barba sono «precocemente ingrigiti». Dei pirla invecchiati, praticamente.
Dopo aver letto la Dacia io, sempre tormentando la mia lanugine, ho molto meditato. Il mio primo pensiero è stato: ammazza che cattiveria, la Dacia, pensa te se gli scippatori barbuti le fregavano la macchina... Il secondo pensiero s' è evoluto in un afflato di autoanalisi freudiana. Diavolo. E se avesse ragione la Dacia? E se davvero la mia barba striata di vecchiaia fosse il simbolo d' una sconfitta?
E se sul serio tutti i precedenti storici fossero menzogne? Dalle barbe egizie simbolo di potere, alle raccomandazioni del Levitico ebraico (19, 27-28 «Non deturpare l' angolo della barba») al pelo del Mago Merlino, di Sean Connery, di Pirlo, del professor Silente di Harry Potter: possibile che tutte le barbe del nostro immaginario fossero un bluff che soltanto la Dacia Maraini è stata in grado di rivelare?
Personalmente non ho mai pensato alla moda hipster che oramai ha un po' estenuato. Nè alla mia devirilizzazione dovuta al fatto, evidentemente, d' essere inchiodati, dieci ore al giorno, in redazione a leggere e commentare pezzi inarrivabilmente pelosi come quelli della Maraini. Personalmente io mi sono fatto ricrescere la barba perchè i miei figli piccoli, uno dietro l' altro, avevano preso il simpatico vezzo di graffiarmi le guance; e di approcciarmi con allegre testate piazzate con precisione geometrica tra il labbro e lo zigomo sinistro.
Le tumefazioni conseguenti rendevano il mio volto una cartina geografica di capillari e lividi, per i quali occorreva una peluria di copertura. Alla terza volta che, sbarbato, fermato dalla polizia per sospetta rissa, sono stato gentilmente invitato a porgere i documenti e a fare la prova del palloncino, ho deciso di non tagliare più la barba. Era una questione di sopravvivenza, uno scudo sociale. Solo dopo ho pensato alle barbe appealing di Connery o del modello agè Philippe Dumas. Certo.
Avrei dovuto fare come Alessandro Magno che imponeva ai soldati la rasatura, per impedire che i nemici (come i miei figli) li tirassero per la barba. Ma senza barba i marmocchi non mi avrebbero riconosciuto. Noi pirla pelosi siamo capaci di decisioni impossibili, cara Dacia...