‘what you gonna do when the world's on fire?

LA VENEZIA DEI GIUSTI – “WHAT YOU GONNA DO WHEN THE WORLD’S ON FIRE?” SI PRESENTA CON UNA SERIE DI STORIE ATTUALI DELLA COMUNITÀ NERA NEGLI ANNI DI CHARLOTTESVILLE –  PER LA SUA PRIMA VOLTA A VENEZIA, MINERVINI FA IL QUADRO DI UN PAESE DEVASTATO DAL POTERE BIANCO

 

What You Gonna Do When The World’s On Fire? di Roberto Minervini

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Black Power! Anzi New Black Power! Per il suo terzo film, What You Gonna Do When The World’s On Fire?, presentato in concorso a Venezia, Roberto Minervini, che non ha abbandonato il documentarismo, anche se gira in un bellissimo bianco e nero quasi storico che dona alle immagini una sorta di patina autoriale, si presenta con una serie di storie attuali della comunità nera negli anni di Trump e di Charlottesville.

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C’è la strepitosa Judy Hill, che ha un bar storico a New Orleans dove si suona il blues, una vecchia madre, un cugino appena uscito di galera. Ci sono i due fratelli Titus e Ronaldo, che vivono in un quartiere dove ci sono stati morti violente e è meglio rientrare a casa prima di sera. Ci sono gli indiani del Mardi Gras, neri adottati dagli indiani, che sfilano in parata a New Orleans vestiti con penne e costumi tradizionali.

 

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Ci sono le nuove Black Panthers, che protestano per aver giustizie di due omicidi opera con tutta probabilità del Ku Klux Klan. Attraverso questi personaggi e le loro storie, che sono il frutto di secoli di sfruttamento e di razzismo, Minervini fa il quadro di un paese devastato dal potere bianco che certo l’America di Trump non aiuterà né a cambiare né a crescere.

 

I bianchi, presenti come nemici invisibili per quasi due ore, appaiono solo alla fine nella figura di un gruppo di poliziotti che porteranno in prigione parte delle Black Panthers. Minervini, per la prima volta in concorso a Venezia, sa che la forza delle sue riprese sta nei personaggi che ha scelto e nei loro racconti.

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Tutta la storia di Judy, ad esempio, che si esibirà anche in un numero cantato, è davvero fenomenale. Limite del film, è un certo piacere nelle belle riprese in interni e in esterni, come se il regista fosse affascinato dal bianco e nero.

 

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Così anche le cose migliori, a tratti, sembrano perdersi nella ricerca estetica e si perde un po’ del mordente dei racconti. Ma rimangono, per fortuna, grandi e forti momenti di realismo, l’ambientazione assolutamente pazzesca, che è poi quella di Moonlight di Barry Jenkins, e il ritratto di un paese che non riesce a uscire da secoli di razzismo e di paura.La prossima volta, magari, facciamo la stessa operazione sul razzismo in Italia...

 

 

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