LA GUERRA SIRIANA NON È SIRIANA, MA TRA SUNNITI E SCIITI. E SI COMBATTE A LONDRA

Claudio Gallo per "la Stampa"

Dall'antenna che spunta accanto al minareto della moschea di Al Muhassin, nel piccolo villaggio, si diffondono nell'etere parole spigolose: sullo schermo il religioso sciita Sheikh Yasser al Habib definisce il secondo califfo Umar, una delle personalità più riverite dai sunniti, un usurpatore e un pervertito.

Pochi giorni prima, Muhammad al Arifi, un predicatore saudita con cinque milioni di seguaci su Twitter, aveva parlato alla moschea salafita Al Muntada. Uno dei suoi pezzi forti è di raccontare che gli sciiti rapiscono i bambini, li fanno bollire, li spellano e buttano i cadaveri davanti alla casa dei genitori. Recentemente ha proclamato che i musulmani di tutto il mondo dovrebbero andare in Siria a combattere contro Assad.

Questo veleno settario, che trabocca soprattutto dalla guerra di Siria, sebbene dietro il conflitto ci siano cause geopolitiche che vanno al di là della religione, non si spande in qualche arroventato Paese del Medio Oriente, ma nella capitale della finanza mondiale, la metropoli londinese che ingloba nel suo calderone multietnico il Londonistan delle periferie islamizzate.

Che Assad oltre che un dittatore sia un laico socialisteggiante, pur alleato del teocratico Iran, che gli alawiti siano diventati sciiti solo nel 1972 per opportunità politica non importa: la partita è sciiti contro sunniti. Una semplificazione adorata dai media diventata, con il tempo, una profezia che si auto-avvera.

Sheik Yasser al Habib, 34 anni, è un teologo sciita fuggito a Londra dal natio Kuwait dove è stato condannato a dieci anni di carcere per blasfemia. I giudici gli hanno successivamente tolto anche la cittadinanza. Al Habib non ha risposto alla richiesta di contatto, ma sul suo sito si difende con tenacia dalle accuse, dicendo spesso di essere stato frainteso, «non voglio divisioni, cerco solo la verità», dice.

Dalla stazione televisiva «Fadak Tv», a Fulmer, un'ora di macchina della capitale, lancia prediche al vetriolo. Nel 2010 disse che Aisha, una delle mogli di Maometto, è «una nemica di Dio». Ne ha per tutti: attacca la Guida suprema iraniana Khamenei, di cui non riconosce l'autorità, e se la prende con Hezbollah in Libano.

La sua «ricerca della verità» rischia d'infiammare la minoranza di estremisti che fanno parte della ben più grande comunità sunnita, come quelli di Al Muhajirun, un gruppo bandito in Inghilterra, che il mese scorso hanno manifestato dalle parti di Edgware Road con cartelli che condannavano le stragi in Siria (solo quelle del regime, ovviamente) e altri che dicevano: «Gli sciiti sono nemici di Dio».

Nel corso di tafferugli un uomo è stato ferito al volto con un coltello, perché era sciita. L'arrivo di Muhammed al Arifi, predicatore salafita tra i più radicali, ha provocato un'ondata di tensione infra-comunitaria, mettendo a disagio anche gli elementi più moderati della comunità sunnita. A fine giugno è stato aggredito da due giovani iracheni (presumibilmente sciiti) mentre usciva da un McDonald's. Nonostante avesse tre guardie del corpo è finito all'ospedale. Da allora è sparito, nessuno dei molti interpellati ha saputo (o voluto) dire se è ancora in Gran Bretagna.

Al centro salafita Al Muntada, a Fulham, Sud-Ovest di Londra, dove Al Arifi è stato a parlare, cercano di sdrammatizzare, negano persino di essere salafiti. Ehsan Abdullah, manager dell'ente caritativo che opera nelle scuole ma fa anche sottoscrizioni per i profughi siriani, sostiene: «Sono esagerazioni dei giornali. Non c'è alcuna tensione settaria. Al Arifi è stato qui per venti minuti e ha parlato solo di teologia».

Mohammed Shaid Reza è un po' in mezzo al guado, pur essendo sunnita è anche un sufi, appartiene cioè a una confraternita mistica. I salafiti in genere considerano i sufi degli eretici e, dall'Asia all'Africa, distruggono spesso e volentieri i loro santuari. Maulana, come lo chiamano per deferenza, è della scuola indiana dei Chishti, a cui appartiene il santuario di Nizamuddin, il più celebre tempio sufi di Delhi.

Lui ha un'idea di come siano andate le cose: «Tutto è cominciato alla metà degli Anni 70, quando in Pakistan comandava il generale Zia ul Haq, finanziato dall'Arabia Saudita. È allora che esplosero le tensioni intra-comunitare, prima i rapporti erano relativamente pacifici.La guerra IranIraq fu un altro passo. Poi ci sono state le guerre in Iraq: un Paese da sempre governato dai sunniti è passato sotto il controllo sciita. Oggi ci sono le primavere arabe, con la guerra in Siria dove la tensione tra le sette è alle stelle».

Delle tensioni Maulana accusa soprattutto le televisioni satellitari. A Londra le principali sono sette: tre sciite e quattro sunnite, che specialmente durante le festività religiose diffondono sermoni esplosivi. «Le comunità nel loro insieme spiega il religioso - sono però pacifiche: vogliono concordare pacatamente di essere in disaccordo».

A Whitechapel c'è la più grande moschea di Londra, può ospitare 5 mila fedeli in preghiera. I suo minareti alti una ventina di metri svettano sull'omonima via, poco prima delle gallerie d'arte. Sul marciapiede opposto, si cammina tra bancarelle di venditori barbuti e donne velate: benvenuti nell'Est Londonistan. Salman Farsi è il giovane responsabile delle comunicazioni della comunità.

«Ci sono delle frange estremiste - ripete come un mantra - ma la maggioranza della gente vuole il dialogo pacifico». Mostra un documento firmato qualche giorno fa al Muslim Council of Britain dove sciiti e sunniti si impegnano per un dialogo costruttivo.

Tutti d'accordo alla fondazione Imam Al Khoei, creata nel Nord-Est di Londra nel 1989 dal grandayatollah Abu Al Qasim Al Khoei, il predecessore dell'attuale leader sciita iracheno Al Sistani. Negli uffici accanto alla moschea, uno dei direttori, Yusuf al Kohei, nipote del fondatore, getta acqua sul fuoco: «Sui media vanno solo gli estremisti, la maggioranza non si sente, ma è tranquilla. Ci sono degli organismi nazionali in cui sunniti e sciiti lavorano insieme per la concordia. Gli estremisti salafiti, d'altra parte, sono un problema per tutti: il loro odio è rivolto anche a sufi, cristiani ed ebrei».

La recente estradizione in Giordania del predicatore Abu Qatada ha mostrato che il governo britannico non vuole più tollerare gli islamisti radicali. Il ministro dell'Istruzione Gove ha appena chiuso una scuola islamista ad Halifax, nel Nord dell'Inghilterra. Ma i predicatori dell'odio settario continuano ad affollare l'etere, pronti a sobillare il gregge dei pacifici. Staccare la spina non sembra una soluzione, somiglierebbe troppo a quello che farebbero loro al nostro posto.

 

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