MENO PIL PER TUTTI - JENA: “IERI ABBIAMO FINALMENTE SCOPERTO CHE AL PIL NON GLIENE FREGA NIENTE DEL SENATO” - BELPIETRO: “SUBITO RIFORME VERE O IL PROSSIMO DA ROTTAMARE E’ RENZI”
1 - NIENTE
Jena per “La Stampa”
Ieri abbiamo finalmente scoperto che al Pil non gliene frega niente del Senato.
2 - LA RUOTA DELLA SFORTUNA PUÒ ROTTAMARE RENZI
Maurizio Belpietro per “Libero Quotidiano”
«A fine anno saremo molto più vicini all’uno per cento di crescita del Pil che non allo 0,8». «Meglio essere un po’ più prudenti all’inizio e poi lasciarsi andare, cosa che scommetto avverrà. Ieri l’agenzia di rating Moody’s ha detto che l’Italia può crescere fino al 2 per cento». Le due frasi riportate sono di Matteo Renzi, che le pronunciò rispettivamente il 29 aprile e il 9 maggio di quest’anno, cioè circa due mesi dopo essersi insediato a Palazzo Chigi e aver preso visione della situazione contabile dell’Italia.
All’epoca il premier era ottimista e ancora confidava in una ripresa dell’economia nazionale, anche per effetto del famoso bonus di 80 euro?Può essere.Peccato che anche il 21 luglio, cioè poco più di due settimane fa, Renzi ancora si dimostrasse convinto di poter raggiungere l’obiettivo annunciato: «Il Pil aumenterà di un punto percentuale entro la fine dell’anno», dichiarò infatti commentando i dati relativi alle esportazioni. A distanza di quindici giorni si capisce però che il presidente del Consiglio sbagliava clamorosamente le previsioni.
Ieri infatti l’Istat ha diffuso la percentuale del Pil registrata nel secondo semestre dell’anno in corso. E, paradossalmente, invece di aumentare, il Prodotto interno lordo è calato, certificandola recessione in atto. Già era accaduto nel primo trimestre, con una flessione dello 0,1 per cento, ma da aprile a giugno il fatturato del Paese ha subìto un altro arretramento, pari allo 0,2 per cento, segno evidente che nel mese di giugno non c’è stato nessun effetto 80 euro e dunque aver indebitato l’Italia per varare in fretta e furia un bonus elettorale è servito a Renzi per vincere le elezioni ma non all’economia nazionale per uscire dalla crisi in cui si dibatte dal 2011.
Il clamoroso flop a questo punto non lascia molte speranze di recupero e su base annua già si ipotizza un Pil in calo dello 0,3 per cento. Altro dunque che gufi indovini. Chi, come noi,da mesi criticava le scelte di Palazzo Chigi, ritenendole insufficienti a far ripartire la locomotiva italiana, non era né uno iettatore né altro: semplicemente aveva visto ciò che il presidente del Consiglio si rifiutava di vedere e cioè che la ripresa non c’è,ma la recessione sì.
È evidente a questo punto che per mesi si è perso tempo inseguendo parole vuote che non hanno alcun effetto concreto sull’economia. La legge elettorale come la riforma del Senato sono questioni importanti, ma ora è assodato che con nessuna delle due si mangia. Discutere di assetti istituzionali dunque rischia solo di essere unmodo per non decidere, tirando a campare nella speranza di un colpo di fortuna.
Ma qui non c’è nessuna ruota della fortuna da far girare, nessun miracolo da aspettare. Anche ieri il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha negato la necessità di una manovra correttiva per il 2014, esortando gli italiani ad avere fiducia e a spendere. Tuttavia l’appello è parso dettato più dalla disperazione che dalla convinzione, più dalla paura che dal coraggio.
E invece in una situazione come quella italiana ciò che manca è proprio il coraggio, ovvero la capacità di varare misure controcorrente. Inutile rifare la squadra dei collaboratori dell’Economia, convocando a Palazzo Chigi altri professori per farsi indicare la strada da prendere. La direzione è obbligatoria e si tratta di fare una seria riforma del mercato del lavoro che abolisca le norme che impediscono di licenziare i fannulloni e di assumere chi ha voglia di lavorare.
Bisognerebbe togliere dal mercato del lavoro quegli ammortizzatori sociali diventati con il tempo un sistema che spinge le persone a non cercarsi un nuovo posto. In certi casi il sussidio diventa un incentivo a tenersi il lavoro che non c’è più, a rimanere a carico dello Stato e a fare altre attività in nero.
Si deve disboscare la pubblica amministrazione, riducendo le leggi e cancellando le norme che impediscono alle aziende di crescere e investire. Occorre cambiare la giustizia: non per allungare i tempi della prescrizione, bensì per fare in modo che i tempi della magistratura coincidano con quelli del mondo reale che sta fuori dai tribunali. Altro che legge elettorale o riforma del Senato.
Su questi argomenti Renzi avrebbe dovuto impegnare i suoi primi mesi e invece li ha buttati via. Adesso ha ancora una chance, presentandosi agli esami di riparazione di settembre con i compiti fatti, ossia con delle riforme vere. Se invece perderà altro tempo, se sceglierà al contrario di trovare una scorciatoia, allora ci condannerà alla ruota delle sfortuna. Ma il primo a rimetterci in questo caso sarà Matteo, perché dopo aver rottamato i vecchi leader il prossimo da rottamare sarà lui.