Marco Giusti per Dagospia
Se ne va Mike Hodges, 90 anni, importante regista inglese autore di un capolavoro del noir come “Carter”, la sua opera prima, che ridefinì il genere e rilanciò Michael Caine come king of cool, del curioso “Pulp”, sempre con Caine e Nadia Cassini, del folle miliardario giocattolone “Flash Gordon”, megaflop prodotto da Dino De Laurentiis a Hollywood dove nessuno capì che film si voleva fare, diventato negli anni un cult stracult, di “The Terminal Man”, di “La maledizione di Damien”, dove dovette lasciare il set dopo tre settimane.
Nato a Bristol nel 1932, dopo aver passato due anni del servizio militare sul ponte di una dragamine della Royal Navy, fece il suo primo lavoro in tv in Inghilterra come suggeritore. A metà degli anni ’60 produce per la tv dei corti legati alla musica, come “David, Moffett and Ornette: the Ornette Coleman Trio”, diretto da Dick Fontaine, “Sound”, dedicato a John Cage e Rahsaan Roland Kirk, produce e direge sette episodi della serie “World in Action” (1963-67), dirige un ritratto di Orson Welles per la serie “Tempo” (1966), sei episodi della serie “The Tyrant King” (1968), due episodi della serie “ITV Playhouse” (1969-70), prima di dirigere il suo primo film, “Carter” con Michael Caine, Britt Ekland, Ian Hendry e John Osborne, che diventò un cult immediato in tutto il mondo.
Hodges si sorprese dell’interesse di Caine, allora una star maggiore, per il film. "Uno dei motivi per cui ho voluto interpretare quel film è stato il mio background. Nei film inglesi, i gangster erano o stupidi o divertenti. Volevo dimostrare che non lo erano. I gangster non sono stupidi e di certo non sono molto divertenti." Violento, realistico, pieno di scene di nudo, ispirato al mondo di Chandler, venne massacrato dalla United Artist che doppiò per l’America le scene parlate in dialetto cockney. Uno dei fan maggiori del film era addirittura Stanley Kubrick che disse: "Qualsiasi attore che vedrà il film vorrà lavorare con Mike Hodges.”
Il suo progetto di cinema noir è ancor più chiaro col successivo e più stravagante “Pulp”, girato a Malta, dove un autore di novelle pulp dai troppi pseudonimi deve scrivere l’autobiografia di un attore da anni in ritiro. Ci sono Michael Caine, ma anche Mickey Rooney, Lionel Stander, Al Lettieri in un raro ruolo di gay, la mitica LIzabeth Scott, che tornava al cinema dopo 15 anni di assenza, oltre a attori del cinema italiano come Nadia Cassini, Leopoldo Trieste, Luciano Pigozzi. J.C. Ballard scrisse una lettera entusiasta a Mike Hodges dicendogli quanto avesse adorata la scena di seduzione che vede Giulio Donnini cercare di sedurre Michael Caine. Musiche di George Martin.
Nel 1974 scrive e dirige il potente noir di fantamedicina tratto dal romanzo di Michael Crichton “The Terminal Man” con George Segal, Joan Hackett, Richard Dysart, Jill Clayburgh. Anche questo piaceva molto a Stanley Kubrick, meno a Crichton che si vide espulso dalla sceneggiatura. Diresse poi, ma solo per tre settimane, venendo rimpiazzato dal ben più modesto Don Taylor, “La maledizione di Damien” con Gregory Peck e Lee Grant, sequel de “Il presagio”, che non poteva dirigere per problemi di conflittualità con un altro set Richard Donner.
Hodges perse il lavoro per divergenze col produttore. Due degli attori che aveva scelto, Leo McKern e Ian Hendry, vennero esclusi dalle scene finali del film. Problemi ancora maggiori arrivarono col kolossal da 27 milioni di dollari prodotto a Hollywood da Dino De Laurentiis, “Flash Gordon” con Sam Jones, Max Von Sydow, Ornella Muti, Mariangela Melato, Melody Anderson, un film dove la troupe italiana e quella americana non riuscivano a comunicare. Sembra che lo volessero fare sia George Lucas (ci credo) che Fellini (non ci credo, troppo furbo), lo rifiuta invece Sergio Leone.
Poi deve farlo Nicolas Roeg con Debbie Harry come Aura e Keith Carradine come Ming. Mike Hodges arriva come ottava scelta. Pensava di fare un film serio e Dino De Laurentiis voleva da subito buttarla in commedia. Ma con un budget per il tempo incredibile, con la fotografia di Gilbert Taylor, che aveva da poco finito il primo “Star Wars” e scenografie ricchisssime. Nel ruolo di Flash Gordon, che doveva essere di Kurt Russell, viene preso Sam Jones perché la mamma di De Laurentiis lo aveva visto in una serie tv, “The Dating Game”.
Finisce che diventa, come disse Hodges, “L’unico film improvvisato della storia del cinema con un budget da 27 milioni di dollari”. De Laurentiis mette sotto contratto i Queens per le musiche senza sapere minimamente chi fossero. Un totale disastro. De Laurentiis pensava di fare parecchi sequel, che non vennero mai fatti. Sarà dura riprendersi da un tale colpo. Hodges ricominciò coi film per la tv “Missing Pieces” con Elizabeth Montgomery nel 1983, “Squaring the Circle” con Jonathan Adams nel 1984.
Poi diresse il curioso fantascientifico “Morons From Outer Space” con Mel Smith, il più interessante “Florida Straits" con Raul Julia e Fred Ward nel 1986. Riguardo il suo rapporto con Hollywood e l’America, Hodges dirà: “L'America mi ha stupito dal momento in cui ci sono andato a metà degli anni '60. La sua motivazione era totalmente diversa da quella del Regno Unito di quei giorni (ma purtroppo non è più così). Ma cos'era? Ho iniziato a rendermi conto che era una cultura fortemente basata sulla dipendenza. L'obiettivo di ogni produttore era quello di rendere le persone dipendenti da qualcosa, qualsiasi cosa”.
Torna in Inghilterra per il più politico “Una preghiera per non morire” con Mickey Rourke, Bob Hoskins, Alan Bates, 1987. Dirige ancora “Arcobaleno nero”, un noir con tinte horror con Rosanna Arquette, Jason Robards, Tom Hulce. Alla fine degli anni ’90 torna da celebrato maestro al noir inglese con “Croupier” con Cliwe Owen e “I’ll Sleep When I’m Dead” con Clive Owen, Malcolm McDowell e Jonathan Rhys Meyers. Il suo ultimo film è un documentario sui serial killer, “Murder by Numbers” del 2004 con Brian Cox.
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