Maria Elena Barnabi per GENTE
Mariano Gallo è un bellissimo uomo di Napoli di 45 anni («I 46 li faccio il 22 dicembre, il primo giorno del Capricorno», precisa) che per passione e per lavoro sul palco diventa Priscilla, la drag queen che vedete nella foto di questa pagina. Da più di vent’anni, Mariano fa spettacoli in giro per il mondo e da due anni è con Tommaso Zorzi e Chiara Francini nella giuria di Drag Race Italia, un programma che porta in Tv le storie di vita delle drag queen e che ne incorona la migliore (per ora su Discovery+, poi arriverà su Real Time).
Il format è uno dei tanti fortunati spin-off internazionali del programma americano RuPaul’s Drag Race, che è giunto alla quattordicesima edizione e che ha vinto moltissimi premi. Insomma, il fenomeno drag ha davvero preso il volo negli ultimi tempi. Non avete ben chiaro di cosa si tratti? Nessun problema: ci spiega tutto Mariano.
Tanto per iniziare, spiegaci chi è una drag queen.
«È una persona che ha deciso di fare spettacolo vestita con abiti coloratissimi, trucco sgargiante, parrucche cotonatissime. È un lavoro che richiede un sacco di preparazione e molte competenze: sapersi truccare (a me vanno via due ore ogni volta), sapersi vestire, ballare, recitare. E poi non è un lavoro come gli altri, che quando hai finito torni a casa e te lo lasci alle spalle. Ti prende 24 ore su 24. È una specie di vocazione. Priscilla sta sempre con me».
Cioè ti vesti così anche al supermercato?
«No, Priscilla è solo sul palco. A casa mi vesto da uomo e sono Mariano. Ma Priscilla è un modo di essere: tutto quello che vedi, parrucche, trucco, abiti non sono una maschera, ma uno strumento. Per noi drag sono strumenti per vivere una parte di noi, una parte vera e reale. Il drag è una forma d’arte, una forma di espressione, come lo sono la scultura, la danza, la pittura. E come tale è libera: non ha orientamento sessuale, non ha identità di genere. Troppe volte si fa il binomio drag queen e omosessualità».
Tu però ti definisci gay.
«Sì, lo sono: mi sono dichiarato a 19 anni. Sono un uomo gay cisgender, cioè in sintonia con il corpo che mi è stato assegnato alla nascita. Comunque esistono drag che sono uomini eterosessuali, donne, persone transgender...».
Qual è la parte di te che Priscilla ti permette di vivere?
«La mia parte femminile, cioè la mia parte più intima, vera, profonda. Da quando c’è Priscilla con la mia femminilità ho fatto pace, l’ho accettata, e ci convivo molto serenamente. La offro a tutti sul palco: sono molto vulnerabile quando sto lì. E mi sento benissimo. Posso dire che grazie al drag ora sono più equilibrato, più completo. Non è sempre stato così».
È stato un percorso difficile?
«Sì, perché agli inizi mi vergognavo un po’. Quando mi chiedevano di cosa mi occupassi dicevo che facevo l’attore. Pensavo che fare la drag mettesse in discussione il mio essere uomo. Ero intriso di pregiudizi maschilisti, come se essere maschi voglia per forza dire essere un macho. Priscilla mi metteva di fronte a una realtà diversa».
Come è arrivata la svolta?
«Pian piano mi son reso conto che Priscilla mi stava facendo diventare migliore. Stavo finalmente conoscendo tutte le mie sfumature e scardinando quelle certezze che alla fine si sono rivelate sciocche. Perché dovevo seguire i canoni della società? Perché non potevo vivermi a 360 gradi, godermi tutte le mie sfaccettature e gioirne con il pubblico?».
Ricordi la tua prima volta?
«Sì: era il 2000 ed ero in Tv su Raidue con un programma di Alda D’Eusanio. Facevo l’attore e il ballerino. Mi proposi come drag queen, improvvisai un costume e un trucco. E fu bellissimo».
I tuoi genitori come la presero?
«Ho una splendida famiglia che mi sostiene nel privato e nel lavoro. Mia mamma cuciva i miei costumi e mio padre, che di lavoro faceva il bodyguard nelle discoteche, molte volte è stato accanto al palco a vigilare sulla mia sicurezza. Le mie nipotine, figlie di mio fratello, non vedono l’ora di ereditare scarpe e abiti di Priscilla quando appenderò i tacchi al chiodo».
Hai polemizzato con Platinette che negli Anni 90 fu la prima drag queen della nostra Tv. Perché?
«Per me essere drag queen è imprescindibile dall’attivismo: noi abbiamo l’obbligo morale di difendere i diritti della comunità Lgbtq+ e convincere le persone che la diversità non mette in pericolo niente. Platinette non l’ha mai fatto. Drag Race Italia invece lo fa. Non è solo un programma televisivo, è un fenomeno sociale».
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