CI MANCAVA COSA NOSTRA: L'OMBRA DELLA MAFIA SULLA STRAGE DELLA "MOBY PRINCE" – NEL LIBRO "UNA STRANA NEBBIA", UNA NUOVA IPOTESI SULL’INCIDENTE DEL 10 APRILE 1991 - IL TRAGHETTO, APPENA SALPATO DA LIVORNO SAREBBE STATO MESSO IN ROTTA DI COLLISIONE CONTRO LA PETROLIERA DA UN GRUPPO DI DIROTTATORI CHE POI AVREBBERO VELOCEMENTE ABBANDONATO LA NAVE - LA STRATEGIA DI COSA NOSTRA INTERESSATA A METTERE LE MANI SULL'ORO NERO, NEGLI ANNI DELLA GUERRA ENI-MONTEDISON…

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Damiano Fedeli per il "Corriere della Sera"

 

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«Proviamo a rovesciare la prospettiva. Possiamo considerare quell'incidente non come il frutto di circostanze sfortunate, ma come un obiettivo deliberatamente cercato e perseguito? In altre parole: se la Moby Prince fosse stata prima sequestrata e poi dirottata contro la petroliera, alcune tessere del puzzle, forse, troverebbero la loro collocazione».

 

Ribalta il punto di vista e avanza un'ipotesi nuova il giornalista e autore Rai Federico Zatti nel suo Una strana nebbia (Mondadori): la tragedia del Moby Prince sarebbe un tassello della strategia di allora della mafia contro lo Stato. Con Cosa nostra interessata a mettere le mani sugli affari dell'oro nero, negli anni della guerra Eni-Montedison.

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Secondo Zatti, poco dopo le 22 del 10 aprile 1991 il traghetto Moby Prince, appena salpato da Livorno alla volta di Olbia, sarebbe stato messo in rotta di collisione contro la petroliera Agip Abruzzo, in rada poco fuori dal porto toscano, da un gruppo di dirottatori che poi avrebbero velocemente abbandonato la nave. «Nel linguaggio mafioso, per punire il commerciante che non paga il "pizzo" si versa una tanica di benzina davanti all'ingresso del suo negozio e si lancia un cerino acceso per dare fuoco a tutto», scrive Zatti. «La Moby Prince doveva svolgere la funzione del cerino e, come tale, appiccare l'incendio sulla petroliera».

 

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Nel rogo che ne seguì morirono tutte le 140 persone a bordo del traghetto, con un unico superstite: il mozzo Alessio Bertrand. Fu il più grave disastro della marina civile italiana. Nel trentennale della sciagura, Zatti riprende le carte della vicenda processuale - nessun colpevole è stato mai individuato - e soprattutto quelle della commissione parlamentare d'inchiesta che al Senato ha lavorato fra il 2015 e il 2018 (un'analoga commissione è stata istituita alla Camera il 12 maggio scorso). Partendo dalle tante domande irrisolte - dai ritardi nei soccorsi alla presenza di esplosivo sul traghetto - Zatti intreccia l'analisi con altre vicende, come il disastro ambientale della petroliera Haven, naufragata nel golfo di Genova solo poche ore dopo la tragedia di Livorno.

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«Sembra incredibile pensare al dirottamento di un traghetto di linea per colpire una petroliera, ma non meno di imbottire un'autostrada con 500 chili di tritolo per uccidere un magistrato», scrive il giornalista. La strage di Capaci sarebbe avvenuta un anno dopo. «Due attentati - argomenta Zatti - con lo stesso obiettivo: colpire lo Stato con una violenza senza precedenti».

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