Marianna Aprile per OGGI
Quello per le ruspe da usare sui campi Rom è un vecchio cavallo di battaglia da campagna elettorale di Matteo Salvini. Quando però nei giorni scorsi, intervistato da TeleLombardia, ha detto di voler “censire” i Rom presenti in Italia si è scatenato il putiferio. Per tre motivi. Primo: un conto è dirlo da leader di partito, altro è farlo indossando i panni del ministro dell’Interno. Secondo: la Costituzione (art. 3) vieta di assumere l’appartenenza etnica come discriminante per qualsivoglia azione. Terzo: il ministro ha aggiunto che «purtroppo i Rom italiani ce li dobbiamo tenere».
E così il dibattito pubblico e politico italiano si è avvitato per giorni su una questione: è giusto e lecito fare un simile censimento? Esiste davvero in Italia una “emergenza Rom” che giustifichi un tale innalzamento dei toni? La risposta, numeri (e buon senso) alla mano, è no: secondo il Consiglio d’Europa (dati del 2017), i Rom, Sinti e Caminanti presenti in Italia sono tra i 120 mila e i 180 mila; secondo uno studio del 2017 dell’Associazione 21 luglio, che di Rom si occupa, sarebbero in 26 mila a vivere nei campi nomadi (lo 0,004 per cento della popolazione italiana, 2 mila in meno rispetto al 2016). I numeri (anche quelli del box a pag. 28), insomma, non sono da emergenza.
«SONO ITALIANI»
«Il 65 per cento dei Romanì (la popolazione di cui fanno parte i Rom, ndr) in Italia sono di antico insediamento, arrivati qui tra il 1200 e la metà del 1400», dice Santino Spinelli, Rom italiano, musicista e già docente di Lingua e cultura romanì nelle università di Trieste, Chieti e al Politecnico di Torino. «Sono uno dei “purtroppo” di Salvini», ironizza.
Nel 2016, Spinelli ha pubblicato il libro Rom questi sconosciuti, sulle origini “zingare” di 500 personaggi famosi. Prima di farci raccontare le loro storie, però, gli chiediamo di fare chiarezza sul mondo Romanì, quello di chi, nel linguaggio comune, è genericamente indicato come “zingaro”.
«I Romanì sono un’antichissima popolazione proveniente dall’India, cui appartengono oggi circa 20 milioni di persone nel mondo, di cui circa 12 in Europa. È divisa in cinque gruppi: Rom, Sinti, Kalè, Manouches e Romanichals, a loro volta divisi in sottogruppi in base a religione o dialetto. In Italia, ci sono solo due gruppi: i Rom nel centro sud e i Sinti nel centro nord, tutti italiani purissimi, se proprio vogliamo buttarla sulla purezza», spiega.
CINQUECENTO NOMI
Nel suo libro, però, un “censimento” dei personaggi dello spettacolo, di cui è riuscito a ricostruire origini Romanì, Spinelli l’ha fatto. «In Italia, Moira e Nando Orfei, per esempio. Ma farà più scalpore l’attrice americana Rita Hayworth», l’indimenticabile Gilda. «Il suo vero nome era Margarita Carmen Cansino.
Suo padre era figlio di Antonio Cansino, un kalò (singolare di kalè, ndr) spagnolo, uno dei più grandi ballerini di flamenco tra 1800 e 1900, uno degli artefici del flamenco moderno. Il figlio di Antonio, ballerino anche lui, emigrò in America dove nacque Rita che, fino ai 12 anni, ballò col padre. Aveva capelli lunghi e nerissimi, da vera romanì, ma quando ha iniziato la sua carriera di attrice ha cancellato tutti gli elementi fisici troppo “etnici” e ha preso il cognome della madre, Hayworth, per nascondere le sue origini», racconta Spinelli. Qualcosa di simile fece anche un altro insospettabile, il Re del Rock ‘n Roll, Elvis Presley. «Il cognome originario della sua famiglia era Presler, cognome diffuso in un gruppo di Sinti tedeschi».
charlie chaplin by richard avedon
Aveva un quarto di sangue Romanichals anche il mitico ispettore Valiant di Roger Rabbit, ovvero l’attore britannico Bob Hoskins, ed era in parte Romanichal anche Charlie Chaplin: «Sua nonna era della famiglia Romanichal inglese degli Smith, che significa “fabbri”, a indicare l’attività cui erano tradizionalmente dediti», dice Spinelli.
E poi c’è il russo-americano Yul Brynner: «Fieramente zingaro», dice la sociologa Carla Osella, presidente dell’Associazione Italiana Zingari Oggi, che ricorda: «Nel 1978 arrivò su una Cadillac bianca all’International Romanì Union di Ginevra, di cui era presidente onorario». Diverso il discorso su Michael Caine: «Era un traveller (un caminante), cioè appartenente a un gruppo autoctono che si è assimilato nei secoli allo stile di vita Rom», conclude Spinelli.
COME DICEVA DE ANDRÉ…
Tornando a Matteo Salvini e alla sua idiosincrasia elettorale per i “Rom”, da milanista sfegatato gli interesserà sapere che «l’ex attaccante del Milan Zlatan Ibrahimovic è Rom bosniaco di religione musulmana». Insomma, un Korakane, che è anche il titolo della canzone che Fabrizio De André dedicò al pregiudizio che da sempre grava sui Rom. Non la ricordiamo a caso.
Salvini ha infatti più volte dichiarato di avere il poeta genovese nel proprio pantheon (accanto a Umberto Bossi e Franco Baresi) e di andare a rendergli omaggio sulla tomba, quando ne ha l’occasione. È quindi con le parole di Khorakhane che chiuderemo, ricordandogli che se i Rom possano essere demonizzati e considerati devianti «lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca il punto di vista di Dio». Certo, poi ci sono i Casamonica, ma questa è un’altra canzone, pardon, storia.