“A VOLTE MI FERMANO PER STRADA E MI DICONO: ‘OH, A ME NON FAI RIDERE’. MENOMALE, NON SI PUÒ PIACERE A TUTTI” – MACCIO CAPATONDA: “MI DEFINISCONO UN GENIO? LO VIVO MALE. PIÙ LO DICONO, PIÙ DIVENTA DIFFICILE” – “SONO CRESCIUTO NEGLI ANNI ‘80, QUELLI DEL BOOM DELLA TV BERLUSCONIANA E DEL CINEMA AMERICANO: QUESTE DUE REALTÀ MI HANNO EDUCATO A UNA ESTETICA E A UN LINGUAGGIO, COSÌ COME OGGI I NATIVI DIGITALI SONO EDUCATI AD ESSERE LOBOTOMIZZATI...” – LA GIALAPPA'S CHE LO HA RESPONSABILIZZATO, IL SOGNO DI DIVENTARE REGISTA DI FILM HORROR, I GENITORI "COMICI MANCATI" E LA DECISIONE DI TRASFERIRSI A...
Estratto dell’articolo di Chiara Maffioletti per www.corriere.it
La mente di Marcello Macchia, per tutti Maccio Capatonda, è un luogo in cui diverse cose vivono in armonia con il loro opposto e dove praticamente nulla è scontato. Comico tra i più amati […], ha fatto del surreale la sua cifra e della libera associazione di idee un metodo.
Spesso la definiscono un genio.
«Mi fa molto piacere ma lo vivo anche male. Adesso sono il primo ad avere grandi aspettative su me stesso. Inoltre più lo dicono, più diventa difficile riuscire a mantenere un livello tale per cui tornino a farlo di nuovo. Sono sempre molto severo rispetto a quello che ritengo geniale».
maccio capatonda padre maronno
Quando ha capito di avere questa vena comica?
«Non da subito: da bambino non ero votato alla comicità. Quando ero piccolo volevo fare prima l’attore poi il regista, in particolare di film horror. Ne ho anche girato qualcuno, appena mi hanno regalato la famosa telecamera: avevo nove anni».
Da bambino ha iniziato a girare film?
«Poco più che bambino: dai 14 ai 16 anni ho girato e montato tre mediometraggi horror, un thriller e anche alcuni sketch comici, ma la comicità la vedevo come un hobby. Cercavo, per necessità, di coinvolgere nei miei film amici, parenti, chiunque conoscessi, per farli recitare. Volevo fare il regista, ma vedere che tutte le persone che “scritturavo” se ne fregavano delle riprese mi aveva fatto venire una sorta di rifiuto.
maccio capatonda piero peluria
Quel tipo di lavoro mi sembrava irraggiungibile, così all’università mi sono iscritto a Scienze della Comunicazione, con un indirizzo pubblicitario: tutti i miei colleghi erano stati mandati a fare stage in agenzie di comunicazione e marketing ma il mio prof disse che mi vedeva bene in una casa di produzione. Quindi, naturalmente, mi sono spostato di nuovo verso quello che sarebbe stato il mio mondo, allontanandomi da quello della pubblicità, per cui avevo studiato».
In quella casa di produzione, come passatempo, aveva ripreso a montare degli sketch per far ridere i suoi colleghi. Quindi le chiesero di farne uno per una trasmissione di Rete A.
«Sì, quei video che preparavo per gli amici nei tempi morti riscuotevano sempre un certo successo, così mi hanno proposto di farne qualcuno per questa tv. Mi ero inventato un personal trainer assurdo che parlava americano, Jim Massew. Lo vide la Gialappa’s e mi chiamarono per lavorare con loro».
italiano medio di maccio capatonda 9
E lì ha capito che la comicità era la strada?
«Non subito. Ma quando, dopo qualche tempo, ho realizzato che la comicità poteva diventare un lavoro, è stato un momento catartico. Essere scelto dalla Gialappa’s mi ha responsabilizzato molto: forse senza la pressione di dover fare un video a settimana, non sarei andato in cerca di molte idee.
La chiave per me è stata l’esigenza di dover soddisfare delle persone che erano dei maestri per me. Se avessi iniziato da solo, come youtuber o influencer credo mi sarei posto in modo diverso. Avere un interlocutore che mi metteva soggezione mi ha spinto a fare di tutto per non deludere».
[…] Molta della sua comicità ironizza attorno a certi cliché del cinema della televisione.
maccio capatonda herbert ballerina - mariottide
«È il mio pane, il mondo in cui sono cresciuto e che voglio destrutturare. Sono cresciuto negli anni ‘80, quelli del boom della tv berlusconiana e del cinema americano: queste due realtà mi hanno educato a una estetica e a un linguaggio, così come oggi i nativi digitali sono educati ad essere lobotomizzati... vabbé noi li vediamo così, poi magari non lo sono tutti».
[…] Le è mai successo di non far ridere qualcuno?
«A volte è successo. Di solito tutti ti fermano per farti dei complimenti, ricordo ad esempio una ragazza che mi ha detto: oh, a me non fai ridere. O un uomo che mi aveva detto: non capisco perché ridano. Menomale, non si può piacere a tutti».
[…] «I miei genitori sono entrambi dei comici mancati: fanno continuamente a gara a chi dice le cavolate più grosse. Mia madre fa ridere proprio come personaggio, per come ti pone le questioni. Mio padre è più uno da freddure».
[…] Come mai è andato a vivere a Roma?
«Perché dopo 19 anni avevo bisogno di un cambiamento. Ho scelto Roma solo perché era molto diversa da Milano; ci vivo da cinque anni e mi ritrovo molto bene, pur con i vari disagi».
Cosa le piace della Capitale?
«Roma è più realistica rispetto a Milano. A Milano vivi in una bolla di efficenza in cui non trovi determinati spunti che hai invece grazie al contatto con la realtà che ti offre Roma, per via dei suoi vari casini... possono essere stimolanti, se non capitano troppo a te».
Il desiderio di bambino di girare un horror potrebbe mai tornare?
«Assolutamente sì: sono abbastanza convinto che il mio prossimo film sarà un horror. Voglio esplorare questo mondo, vorrei provare a sperimentare questa cosa». […]
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