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donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE - FRANCESCO MILLERI

DAGOREPORT

Francesco Gaetano Caltagirone non è mai stato il tipo da mollare l’osso facilmente. Tanto meno, superata la boa degli ottant’anni, è il tipo che resta sorpreso  davanti agli eventi.

 

Ci voleva la mossa dell’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, di cedere il 13% di Generali in cambio del controllo di Banca Generali, per spiazzare il palazzinaro-editore romano che si sbatte da anni per diventare il Re di Generali.

 

L’ira funesta di Calta non poteva non coinvolgere i neuroni dei compagni di avventura: la Delfin di Francesco Milleri e i capoccioni di Palazzo Chigi che hanno supportato il suo sogno di demilanesizzare Piazza Affari.

 

Giustamente chi se ne fotte, anzi ride di cuore sotto i baffi della mossa di Nagel su Banca Generali, è il Ceo di Mps, Luigi Lovaglio. Se l’Ops della banca senese va a dama avrebbe una “nuova” Mediobanca ancora più ricca e performante sulla gestione dei patrimoni, settore in cui il “Monte” più amato da Salvini e Giorgetti è carente.

 

ANDREA ORCEL - FOTO LAPRESSE

Come informa oggi Giovanni Pons su “Repubblica”, il gruppo che si verrebbe a formare potrebbe valere “4,4 miliardi di ricavi (più 15%) di cui 1,8 di commissioni nette; 1,5 miliardi di utile netto; sinergie per 300 milioni; ritorno sul capitale investito dal 14 ad oltre il 20%. Il Wealth management diventerebbe la gamba più importante del business di Mediobanca da cui trarre il 50% dei ricavi e dell’utile, il 30% rappresenterebbe il credito al consumo di Compass e il 20% la tradizionale consulenza per le operazioni di M&A”.

 

philippe donnet - andrea sironi

Ovviamente Caltariccone se ne fotte di conquistare una Mediobanca più perfomante ma deprivata del 13% di Generali, ‘’tesoretto” che gli permetterebbe di montare in groppa al Leone di Trieste. Più incazzato di una biscia, non gli restava altro che cercare con l’ausilio dei suoi avvocati (lo studio Bonelli-Erede) una contromossa legale per sparigliare le carte del duplex Nagel-Donnet.

 

A quanto si apprende, l’appiglio caltagironesco è un classico italiano: il conflitto di interessi. Intanto, sull’Ops su Banca Generali dovrà innanzitutto esprimersi l’assemblea di Mediobanca: come Dago-dixit, essendo Piazzetta Cuccia sotto l’attacco di Mps, l’offerta annunciata ieri è subordinata all’approvazione dell’assemblea straordinaria dei soci una maggioranza del 51%. Obiettivo non proprio tanto sicuro, con l'Ops di Mps che avrebbe già raggiunto il 45%.

 

francesco gaetano caltagirone l urlo di munch - fotomontaggio lettera43

Successivamente, la palla passerà al Cda di Generali. E sul conflitto di interessi potrebbe cascare l’asino dell’accordo Nagel-Donnet.

 

Caltagirone potrebbe porre alla corte il seguente problema: è legittimo che sia il consiglio di amministrazione del Leone di Trieste, appena rinnovato con dieci consiglieri (su tredici) in quota Mediobanca, decida sulla cessione, proprio a Piazzetta Cuccia, di Banca Generali?

 

A quel punto, l’editore del “Messaggero” potrebbe chiedere di far passare la decisione per l’assemblea degli azionisti, dove però Mediobanca, che detiene il 13,20% del gruppo, dovrebbe astenersi, mentre Calta e Milleri, insieme, detengono circa l'17% del capitale di Generali.

 

Siamo nel campo dei cavilli giuridici su cui si esprimeranno i giudici, e come finirà lo sapremo solo vivendo. Di certo, è che questo guazzabuglio legale conferma, al di là di dichiarazione varie e avariate di ipocrisia, la fallita presa di Generali da parte dei due imprenditori alla Fiamma.

FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE PHILIPPE DONNET

 

La prova che ieri il sangue di “Calta” si sia trasformato in bile è nell’editoriale del suo ex dipendente Osvaldo De Paolini (ha lavorato per anni al “Messaggero”), che dev’essere rimasto molto affezionato ai destini imprenditoriali del suo ex datore di lavoro.

 

Oggi sul “Giornale”, di cui è vicedirettore, scrive: “A caldo vale […] la pena di constatare l'ennesimo paradosso di una relazione, quella tra Mediobanca e Generali, che solo gli ingenui e i pasdaran del partito di Piazzetta Cuccia possono ancora non definire incestuosa, soprattutto dopo nemmeno sette giorni dalla nomina del nuovo cda della compagnia triestina.

ALBERTO NAGEL

 

‘’Ineludibile la domanda’’, continua De Paolini, “ma può un consiglio di amministrazione nel quale 10 consiglieri su 13 sono stati nominati da Mediobanca assumere decisioni - ad appena 100 ore dalla nomina - su un'operazione progettata da quest'ultima e finalizzata ad acquisire quello che probabilmente è l'asset più prezioso delle Generali?

 

E aggiunge: ‘’Delle due l'una: o il cda riconosce di essere stato delegittimato e perciò impossibilitato a decidere su un'operazione straordinaria che potrebbe cambiare radicalmente il volto della compagnia, oppure è in pieno conflitto d'interessi avendo condiviso anzitempo il progetto. Per esempio, che cosa c'è dietro il frettoloso rinnovo degli accordi avvenuto alcune settimane fa tra Generali e la controllata? E qui i sospetti si allargano fino ad ipotizzare il concerto”.

giovambattista fazzolari - francesco gaetano caltagirone

 

A Piazza Affari solo gli ingenui si chiedono come mai il Ceo di Generali, Philippe Donnet, non abbia pensato prima la dismissione della Banca del Leone. E' ben noto che in passato, ha sempre sbattuto la porta a tale richiesta da parte di Nagel.

 

Quando è aumentato il pericolo di perdere la poltrona, ha proposto la “sua” banca all’ad di Unicredit, Andrea Orcel, che aveva raggranellato il 6,5% di Generali, in cambio del voto a lui favorevole in occasione del rinnovo del cda.

 

Quando Donnet si è però accorto che aveva ‘’i numeri’’ per sfangarla, grazie al fatto che i grandi fondi azionisti di Generali non avrebbero mai sostenuto Caltagirone (detestando il Decreto Capitali di cui l’editore è stato grande ispiratore con Fazzolari), a quel punto, ha scaricato il “Cristiano Ronaldo dei banchieri” senza fare un plissé. Della serie: grazie Andrea, ma non mi servi più.

ANDREA ORCEL CARLO MESSINA

 

Per una volta, il furbissimo Orcel si è sentito infinocchiato dallo scaltro francese. Non solo ha svelenato su Donnet nel cda notturno di Unicredit dove è stato deciso il sostegno alla lista “corta” di Caltagirone, ma ha anche seminato fiele sul manager francese rilasciando una dichiarazione feroce al “Messaggero”, che valeva un avviso di sfratto a Nagel e all’ingrato Donnet.

 

"Unicredit ha orientato il suo voto a favore della lista presentata dal gruppo Caltagirone perché, dopo un'attenta valutazione della situazione complessiva, crede debba essere avviato un rinnovamento della governance della compagnia […]. Questa indicazione di voto ha solo questa motivazione ed esclude implicazioni con le partite bancarie in corso".

 

LUIGI LOVAGLIO MONTE DEI PASCHI DI SIENA

Ma la conferma alla guida della compagnia assicurativa non era sufficiente per rassicurare il futuro di Donnet: alle porte di Piazzetta Cuccia era in arrivo il cavallo di Troia di Mps, con dentro il duplex caro al Governo.

 

Per sbarrare il passo all’entrata di servizio di Generali, Donnet ha capito che doveva  disinnescare il piano di conquista degli “usurpatori” romani, facendo trovare vuota la cassaforte di Mediobanca: di qui, ha messo in piedi il piano per offrire Banca Generali ad Alberto Nagel in cambio della quota del 13% del Leone di Trieste.

 

philippe donnet

Dando appuntamento alle prossime incertissime battaglie bancarie (finora gli unici a guadagnarci sono gli studi legali), oggi entra in campo Intesa Sanpaolo con la riconferma di Carlo Messina e Gian Maria Gros-Pietro al vertice della prima banca italiana. Finora Messina, in prudente attesa di essere confermato, non ha toccato palla sul risiko bancario.

 

Anche se è riuscito a far compagnia a Caltagirone nella bruciante sconfitta al Cda di Generali. All’appello di Intesa a votare il loro candidato della lista Assogestioni, i fondi istituzionali e di investimento se ne sono fottuti, votando a favore della lista Mediobanca e non facendo raggiungere il quorum alla lista sospinta da Intesa.

 

(Magari i fondi si sono convinti di non essere più tutelati da Carlo Messina, certi che non schiererà mai apertamente la “Banca di Sistema” contro il Governo Meloni - del resto nessuno ha mai sentito la voce del banchiere contro il detestato Decreto Capitali).

ARTICOLO DEL WALL STREET JOURNAL SU ANDREA ORCEL STAR-BANKER

 

 

 

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