Camilla Mozzetti per "Il Messaggero"
Tra le loro vittime c'era finita anche l'azienda agricola Fratelli Berlucchi - leader nella produzione del Franciacorta dal 1929 - che presentò denuncia ad ottobre 2020. Ma l'elenco è lungo e tocca alcune note e grandi imprese attive da anni nel settore enogastronomico dell'intero Paese.
Tutte aziende truffate da quella che il gip Andrea Giannetti, nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di cinque italiani, ha definito un'associazione a delinquere. Il gruppo, copiando il marchio di una grande società di Marghera - specializzata nella fornitura di servizi marittimi quali il catering a bordo di navi commerciali e da crociera - e attivando un banale account falso di posta elettronica, contattava le aziende produttrici per farsi recapitare cibo, prelibatezze, prosecchi, champagne ma anche olio e prodotti agroalimentari d'eccellenza.
Le aziende, dal canto loro, credendo di interagire con un grande cliente preparavano le merci che venivano poi spedite da varie parti d'Italia a Roma ma che non sono state mai pagate. Il danno accertato dai carabinieri del Nucleo operativo della compagnia di Roma Parioli che hanno avviato le indagini sfiora i 100 mila euro.
L'ASSOCIAZIONE
La mente dell'associazione era una donna, Patrizia Ferri, classe 1978, romana con diversi precedenti alle spalle che non solo manteneva i rapporti con le aziende, provvedendo agli ordinativi e organizzando le consegne, ma impartiva al resto della squadra, composta da altri tre romani dai 48 ai 62 anni (Salvatore Mancini, Giuseppe Patalano, Salvatore Mallia) e da un calabrese di Praia a Mare (Ulisse Biccini classe 1975), i compiti sul ritiro della merce e lo stoccaggio in un magazzino alla spalle del cimitero del Verano in via Giano della Bella.
Qui i militari, diretti dal Maggiore Alessandro De Venezia, hanno avviato una serie di appostamenti a seguito di una denuncia fino a scoprire due membri del gruppo intenti a scaricare i bancali di prodotti.
A seguito della perquisizione i carabinieri hanno rinvenuto nel magazzino, preso in affitto da un'architetta ignara dell'uso che se ne faceva, 25 metri cubi di prodotti alimentari in alcuni casi tutt'altro che comuni. Beni di prima scelta che il gruppo capitanato dalla Ferri reimmetteva nel mercato.
Scrive il gip nell'ordinanza: «L'interesse è di natura prettamente economica e consistente negli ingenti profitti immediatamente ricavabili dalla vendita in un circuito parallelo da parte degli associati delle merci via via consegnate loro dalle stesse inconsapevoli vittime».
I contatti tra gli arrestati avvenivano per lo più al telefono, via sms. Tanto che i militari hanno registrato anche alcuni sfottò nei confronti delle vittime: «Vedi di inventarti un'altra mandrakata», scrivono tra loro gli arrestati, «aspetto con fermento un nuovo magazzino».
La Ferri, da quanto accertato nel corso delle indagini, era stata registrata nelle rubriche dei telefoni dei suoi sottoposti con il nome maschile Patrizio e impartita comandi ma sollecitava anche attenzione nel ritiro e stoccaggio della merce e cura del denaro che i quattro ricevevano a fronte del lavoro. A chi le chiedeva paghe più alte rispondeva secca: «E che vuoi dovete essere più parsimoniosi, i soldi non se buttano».