BRACCIO DIDI FERRO - LA BATTAGLIA TRA USA E CINA PER IL PRIMATO TECNOLOGICO FA CROLLARE IN BORSA L'APP DIDI, IL SERVIZIO MODELLO UBER E FINANZIATO DAGLI AMERICANI CHE PECHINO HA DECISO DI PUNIRE, NON PERMETTENDO PIÙ AI CITTADINI DI SCARICARLO - GIRO DI VITE A HONG KONG SULLA PRIVACY: APPLE, FACEBOOK E GOOGLE MINACCIANO DI LASCIARE L'EX COLONIA - BIDEN VUOLE INVESTIRE 2 MILIARDI DI DOLLARI NELLA RICERCA SULL'INTELLIGENZA ARTIFICIALE NEL 2022 E SALIRE A 32 MILIARDI ENTRO IL 2026...

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Paolo Mastrolilli per "La Stampa"

 

la app cinese didi la app cinese didi

Che la tecnologia sia il teatro dove lo scontro decisivo fra Usa e Cina è già in corso, prima ancora del fronte militare, è noto da quando Pechino rincorreva le compagnie americane per rubare la proprietà intellettuale. Ora che però sta diventando più indipendente su questo terreno, la sfida è frontale.

 

Lo dimostrano gli attriti su Hong Kong, e lo stop imposto su Didi, l'Uber cinese che ha debuttato a Wall Street e che non potrà più essere scaricata.

 

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Il primo colpo è stato sparato il 25 giugno, quando l'Asia Internet Coalition ha recapitato una lettera al Privacy Commissioner for Personal Data dell'ex colonia britannica, con cui avvertiva: «L'unica maniera di evitare queste sanzioni da parte delle compagnie tecnologiche - ammoniva il documento rivelato dal Wall Street Journal - sarebbe astenersi dall'investire e offrire i propri servizi ad Hong Kong».

 

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L'Asia Internet Coalition è un'organizzazione basata a Singapore che rappresenta tutte le aziende più importanti del settore, Apple, Google, Facebook, Amazon, Twitter, eccetera. Ma perché i giganti della Silicon Valley si sono uniti, per minacciare la fuga dalla città che un tempo incarnava la corsa dell'intero continente verso la modernità?

 

La ragione sta negli emendamenti proposti a maggio dal Constitutional and Mainland Affairs Bureau, per cambiare le leggi sulla protezione dei dati. In teoria, l'iniziativa aveva lo scopo di combattere il «doxing», punendolo con pene fino a cinque anni di prigione e multe fino ad un milione di dollari locali.

 

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Si tratta dell'antipatica azione di pubblicare le informazioni private di persone che si vogliono screditare. Era stata abusata durante le proteste del 2019 tanto dai manifestanti, che la usavano per rivelare le identità dei poliziotti oppressori scesi in strada senza targhette di riconoscimento, quanto dalle forze dell'ordine, che si erano vendicate mettendo sulla piazza digitale i dati degli oppositori.

 

Per la Silicon Valley i problemi sono due: primo, le nuove regole in realtà sono pensate per castrare la libertà di espressione e perseguitare i dissidenti; secondo, i dipendenti delle sue aziende rischiano di andarci di mezzo, perché possono essere accusati di aver fornito agli oppositori gli strumenti per violarle.

 

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Mentre questa disputa è ancora aperta, Pechino ha ordinato la rimozione dagli stores dell'applicazione di Didi, la più grande piattaforma nazionale per il trasporto, costruita sul modello di Uber. La ragione ufficiale è una non meglio precisata violazione della privacy dei clienti, ma il sospetto è che si tratti di una punizione per la quotazione da 4,4 miliardi di dollari dell'azienda a Wall Street, dove i suoi titoli hanno subito perso il 25%.

 

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Il problema non è solo il ricorso ai soldi americani, ma soprattutto il fatto che per averli Didi deve adeguarsi agli standard etici degli Usa, e quindi non può più obbedire ciecamente agli ordini di Xi. Se il presidente chiedesse di violare la privacy degli utenti, la Uber cinese sarebbe costretta a scegliere tra la fedeltà alle istituzioni e i finanziamenti internazionali.

 

Lo scontro è frontale e senza esclusione di colpi, perché non riguarda solo i tanti quattrini in ballo. La questione centrale è il dominio del settore tecnologico, su cui si giocherà la sfida geopolitica epocale tra la superpotenza del secolo scorso e quella emergente, avviate verso lo scontro pronosticato dalla «trappola di Tucidide».

 

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Fareed Zakaria, ad esempio, ci ha detto che la vera arma con cui Washington potrebbe sconfiggere Pechino è la stessa usata contro l'Urss, ossia mettere in ginocchio l'avversario con l'innovazione tecnologica.

 

Già nel 2018, con il libro «AI Superpowers», il presidente di Sinovation Ventures Kai-fu Lee aveva avvertito che la Cina stava superando gli Usa nell'intelligenza artificiale. A marzo la National Security Commission on Artificial Intelligence guidata dall'ex ceo di Google, Eric Schmidt, ha affermato che l'America è ancora avanti, ma verrà raggiunta in meno di cinque anni.

 

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Per evitare questo declino bisognerà investire 2 miliardi di dollari nella ricerca sull'AI nel 2022, e salire a 32 miliardi entro il 2026. Biden sembra averlo capito, proponendo di stanziare 2 trilioni nelle infrastrutture, perché qui si giocherà il dominio globale del secolo.

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