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giuseppe conte e donald trump al vertice nato di londra 1
In maniera non ufficiale ma graduale, la CIA sta collaborando sempre di meno con i nostri servizi segreti. Nessun problema con l'Aise, ma al centro della questione c'è l'autorità politica che sovrintende all'intelligence italiana, ovvero quel ''Giuseppi'' Conte che siede a Palazzo Chigi, ritenuto dagli agenti americani – quelli tendenza Trump-Pompeo che stanno prendendo il sopravvento sulla fazione di Deep State che osteggiava il presidente dall'interno – poco affidabile.
Il distacco è avvenuto dopo gli ormai famigerati viaggi estivi a Roma dell'attorney general americano, William Barr, alla ricerca di elementi per la sua contro-inchiesta sul Russiagate, in particolare sull'operato dei servizi segreti europei nell'estate 2016, quando Trump incassò la nomination e democratici e repubblicani #neverTrump commissionavano lo Steele report, quel accrocchio di info e dis-info condito dalle piogge dorate in un certo hotel moscovita che doveva dipingere il candidato come un pupazzo nelle mani di Putin.
La situazione spinosa delle forze di intelligence italiane si inserisce nella generale confusione geopolitica in cui è impanato il nostro Paese, su tre piani: interno, europeo e internazionale.
Sul piano interno, alla Farnesina regna uno stato di schizofrenia da quando a settembre Luigino Di Maio ha preso il posto del già evanescente Moavero Milanesi, uno con un ottimo pedigree accademico-bruxellese ma deboluccio sul piano diplomatico.
Figuriamoci con l'arrivo di uno che nel CV ha giusto l'iscrizione a Giurisprudenza. Aggiungi che come Segretaria Generale del ministero c'è Elisabetta Belloni, donna tosta ma che non è mai stata ambasciatrice in una sede all'estero, e che Ettore Sequi, il capo di gabinetto chiamato da Pechino, non ha la leadership di certe vecchie feluche, e ottieni un mondo diplomatico italiano che corre in ordine sparso senza un vertice forte.
Il Quirinale, l'unica vera autorità riconosciuta all'estero, perché dura sette anni e non uno come i governi italiani in media, avrebbe fatto capire a Conte che sulle questioni di politica estera Mattarella deve essere più coinvolto.
A livello europeo, l'intervisa di Frattini a ''La Stampa'' in cui rivela di essere un consigliere di Di Maio e di averlo esortato a mettere fine alle sanzioni contro la Russia, è stata una piccola bomba nello stagno di Bruxelles.
E certifica che c'è un movimento in vari paesi UE per tornare a parlare con Mosca, anche in virtù dell'atteggiamento americano: Trump vede l'Europa come un vassallo cui dare ordini, regolarmente tenuto fuori dalle decisioni che contano – dalla guerra commerciale contro la Cina all'uccisione di Soleimani – se non addirittura colpito con dazi e minacce.
luigi di maio elisabetta belloni
Allora, e qui arriviamo sul piano internazionale, molti si chiedono che senso ha continuare a spararsi sui piedi chiudendo i commerci verso Est e lasciando che Putin si spartisca quel che resta del Medioriente e del Nordafrica con Erdogan.
Il tutto mentre l'America va per conto suo con un presidente che fa come gli pare senza tenere in conto i fragili equilibri al di là dell'Atlantico. Rimanere fedeli alle sanzioni (volute da Obama all'epoca dell'invasione della Crimea) al momento non porta grandi vantaggi per il Vecchio Continente, né diplomatici né economici.
Non è un caso il silenzio assordante di Macron e Merkel davanti ai missili che volano in Iraq: i due si sono limitati (con Johnson) a chiedere a Teheran di rispettare l'accordo sul nucleare. Come se a uno che sta cadendo in un burrone gli consigli di chiudere il cappotto che sennò prende freddo.