Stefano Folli per “La Repubblica”
L’aumento del tasso d'interesse deciso dalla Bce è tutto tranne che un fulmine a ciel sereno, una decisione presa "da un giorno all'altro", come crede Matteo Salvini. Era atteso da qualche mese, coerente con la congiuntura internazionale e le scelte di Wall Street. Ciò che rende il quadro drammatico, soprattutto per un Paese come l'Italia ad alto debito pubblico, è il contesto. Sono i fattori che oggi scuotono il mondo: dalla guerra all'inflazione, dalla crisi dell'energia a quella del grano. È il venir meno, in questo scenario, degli acquisti dei titoli di Stato.
A Francoforte occorrerebbe una guida salda e solidale, come in passato fu Draghi, e invece Christine Lagarde sembra incerta e poco risoluta. I mercati lo capiscono subito e le Borse crollano. L'altro aspetto preoccupante è la fragilità dei Paesi più deboli. L'Italia, e anche questa non sembra una novità, resta cruciale per il destino dell'Unione, ma al tempo stesso è esposta ai rischi di un assetto politico dominato da soggetti poco affidabili. I quali aspirano a reggere il timone della nave in tempesta e nemmeno si rendono conto della scarsa credibilità con cui prendono parte al dibattito pubblico.
Questo punto è vero in condizioni semi-normali, tant' è che da più di un anno il governo è stato affidato a una figura esterna alle beghe romane; ma diventa un problema angosciante quando tutto sembra precipitare in un cortocircuito finanziario e sociale. L'attacco del capo leghista alla Bce, accusata di "voler svendere l'Italia come ha fatto con la Grecia", è più che altro un goffo tentativo di far passare in secondo piano l'oscuro disastro del mancato viaggio in Russia, su cui emergono via via nuovi particolari. Ma Salvini è parte integrante dello schieramento Lega-FdI-FI che aspira alla maggioranza nelle elezioni del 2023 e che vive il voto amministrativo di domani quasi come una prova generale, nonostante i soliti impresentabili nelle liste (o mancano i controlli ovvero si cercano proprio quei candidati).
MATTEO SALVINI E GIUSEPPE CONTE
Di fatto il centrodestra ritrova coesione su una linea che certo non aiuta Draghi. E se nessuno condivide i toni aspri di Salvini, nessuno prende le distanze da lui. Non solo: sull'altro versante abbiamo i 5S divisi tra Conte e Di Maio, con il primo incapace di mettere in crisi un governo che pure odia, ma risoluto a tenerlo in un equilibrio instabile. Ecco allora l'ex premier criticare Francoforte con l'argomento demagogico che non doveva alzare i tassi. Ancora una volta la convergenza Salvini-Conte è palpabile. Ne deriva che i prossimi mesi si annunciano nel segno della precarietà: fra lo "spread" a 230 punti, le minacce ai posti di lavoro, le riforme zoppicanti e la ripresa forse compromessa.
Davvero si vuol far credere che l'Italia possa fuoriuscire come se nulla fosse dalla situazione eccezionale in cui è nato il governo Draghi? Che possa tornare a una tranquilla dialettica tra schieramenti prigionieri di così profonde contraddizioni? È ovvio che la materia è delicata perché non si può comprimere a lungo la regola democratica. Ma è altrettanto vero che la crisi internazionale, che ora si mescola a una possibile crisi finanziaria, pone una serie di questioni ineludibili.
All'interno e all'estero. L'articolo di Paolo Mastrolilli in queste pagine dà conto dell'attenzione con cui dagli Stati Uniti si osserva l'involuzione della polemica in Italia. Sarebbe strano il contrario. In fondo i personaggi che più occupano la scena, sono gli stessi che hanno cercato di spostare l'asse della nostra politica estera verso Mosca e Pechino.