Massimo Basile per “la Repubblica” - Estratti
Tre ore prima che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden annunciasse il suo ritiro dalla corsa alla Casa Bianca, Kamala Harris aveva postato un video su X in cui confessava a una giovane intervistatrice come comincia la giornata: allenandosi mezz’ora, per rafforzare «mente, corpo e anima». «Una delle cose che più amo - aveva aggiunto è cucinare, quando posso, la cena della domenica per la famiglia ». Quei fornelli resteranno spenti, da ora in poi.
È cambiato tutto perché Harris, 59 anni, di Oakland, California, è diventata la favorita a sostituire il presidente e provare a fermare l’avanzata di Donald Trump. Con quali armi? La straordinaria normalità.
Laureata all’università Howard, era stata definitiva frettolosamente l’ “Obama donna” per la sua capacità di trascinare le folle. Prima di conquistare un seggio al Senato nel 2016 è stata procuratrice di San Francisco e poi della California. Barack Obama, in uno dei suoi rari infortuni, la definì «la più bella procuratrice del Paese», per poi scusarsi.
Ma lui stesso pensò a Kamala come candidata giudice della Corte Suprema. Da rappresentante del Congresso, Harris è diventata personaggio grazie alla grinta mostrata durante l’impeachment a Trump, quando mise sotto torchio l’ex ministro della Giustizia Jeff Sessions. I video virali lanciarono la sua immagine fino a spingerla a candidarsi per le primarie Democratiche.
Uscita di scena subito, aveva fatto l’endorsement a Biden da cui venne chiamata come vice in una videotelefonata ripresa dallo staff del futuro presidente.
(...) A un certo punto le avevano domandato se potesse diventare lei la candidata presidente. Kamala aveva dribblato la questione. «In queste elezioni - era stata la risposta - noi sappiamo qual è il candidato che mette l’America al primo posto: è il nostro presidente, Joe Biden». Ai donatori in ansia, aveva poi detto: «A novembre vinceremo».
«Anche se non sarà facile», aveva aggiunto. «Vai a prenderlo, Kamala», aveva gridato uno dalla platea, scatenando le urla entusiaste degli altri. In un momento in cui le donazioni si erano congelate, la vice ha raccolto due milioni di dollari in una sola serata.
I grandi donatori sono con lei e sono pronti a riprendere il flusso di denaro per riaprire una partita che sembrava chiusa. Un segno finalmente rassicurante per i vertici del partito. Harris stessa, descritta dal suo entourage come “determinata”, aveva letto poco prima i sondaggi di Suffolk Univesity/Boston Globe, secondo cui quasi due terzi degli elettori democratici volevano un candidato più giovane di Biden.
Più di una quindicina di rappresentanti del Congresso, che nei giorni scorsi avevano chiesto al presidente di ritirarsi, hanno annunciato il sostegno alla sua vice. Tra loro i big del partito come Jim Clyburn, eletto in South Carolina, e la senatrice ed ex candidata presidenziale Elizabeth Warren. Nel pomeriggio di ieri è arrivato l’endorsement pesante di Bill e Hillary Clinton.
In attesa che i Democratici indichino il nome ufficiale, queste sono le ore in cui Harris dovrà togliersi i panni di cheerleader del Commander in Chief e cambiare passo, tono, parole, ma non il sorriso, quello che ha spinto Trump a storpiare il suo nome chiamandola “Lafffing Kamala”, la Kamala ridanciana.
«Sarà più facile battere lei», ha commentato il tycoon su Truth quando è uscita la notizia. Anche nel ’68 la convention Democratica era in programma ad agosto, anche allora era a Chicago e c’era stato un drammatico avvicendamento. Il presidente in carica Lyndon Johnson aveva lasciato la candidatura al suo vice, Hubert Humphrey. Ma le similitudini finiscono qui. Tra loro c’era il gelo, mentre Harris e Biden hanno costruito un rapporto, anche se all’inizio i due staff erano stati freddi. Ma la partita delle elezioni si riapre.
Francis Scott Fitzgerald diceva che nella vita degli americani non c’è spazio per un secondo atto, ma questo potrebbe non essere il caso di Kamala.
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