A ROMA IL FLOP RAGGI PUÒ INGUAIARE CONTE – SE LA SINDACA FINISCE QUARTA, L’AVVOCATO DI PADRE PIO PERDEREBBE FORZA NEGOZIALE CON LETTA - AL SECONDO TURNO GIUSEPPI INTENDE SCHIERARE IL M5S IN FAVORE DI GUALTIERI. MA PER ESSERE DECISIVI BISOGNA AVERE TRUPPE NUMEROSE, E QUELLE DEI CINQUE STELLE SONO UN'INCOGNITA – LA PARTITA DI CALENDA E I RISCHI DI MICHETTI
FAUSTO CARIOTI per Libero Quotidiano
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Dire che a Roma si vota per scegliere il sindaco è un eufemismo. Il significato del suffragio capitolino è molto più ampio e sarà nazionale, comunque vada: lì si deciderà lastrada che prenderanno alleanze e schieramenti da qui alle elezioni politiche. E a rischiare sono in tanti. L'esame più duro è quello che attende Virginia Raggi. La sindaca uscente dice che non è condannata a essere terza, assicura che i sondaggi fotografano «un testa a testa» e che lei e i suoi stanno «risalendo».
In realtà chi cresce davvero è il quarto incomodo, Carlo Calenda, fotografato nelle ultime rilevazioni (Youtrend per Repubblica) al 18,9%, appena 0,2 punti dalla grillina. Il testa a testa c'è, insomma, ma è quello che rischia di farla finire quarta. Il pd Roberto Gualtieri (27%) e il candidato del centrodestra Enrico Michetti (31%) appaiono infatti irraggiungibili, col primo meglio quotato al ballottaggio.
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Eppure, il «come» perderà la Raggi sarà decisivo per Giuseppe Conte. Perché una cosa è sedersi al tavolo delle trattative con Enrico Letta avendo incassato il voto di un romano su cinque, un'altra farlo dopo aver chiuso l'avventura in Campidoglio con un ignominioso quarto posto e una percentuale imbarazzante di voti. Del resto a Milano, Torino e Trieste le candidate sindaco del movimento sono senza speranza, accreditate di percentuali a una cifra.
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Mentre a Bologna e Napoli, Conte ha caricato i suoi sul carro del candidato scelto dal Pd, sperando così di rimediare, almeno, qualche assessore. Roma è dunque l'unica piazza dove il M5S può dimostrare di avere un valore aggiunto, qualcosa da portare in dote al matrimonio coi democratici. Iniziando dal ballottaggio, nel quale Conte intende schierare i pentastellati in favore di Gualtieri. Ma per essere decisivi bisogna avere truppe numerose, e quelle dei Cinque Stelle sono un'incognita.
Pure Calenda, a Roma, rappresenta molto più di se stesso. Tra senatori e deputati, sono un centinaio quelli che non si riconoscono nel centrodestra né nell'asse Pd-Cinque Stelle-Leu. Tra loro ci sono i parlamentari di Italia Viva, quelli - in gran parte ex forzisti - che sono entrati nella formazione di Luigi Brugnaro e Giovanni Toti, altri pronti a lasciare Forza Italia appena andrà in porto la federazione con la Lega. Ora che i Cinque Stelle sono al tramonto, ridotti al rango di costola del Pd, c'è posto per partiti e candidati "terzi", magari presentabili? La domanda è questa.
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00A Roma, Calenda gioca in casa. Le probabilità che acceda al ballottaggio sono scarse, ma corre da solo, con l'unico supporto dei renziani, e se prendesse il 20% avrebbe il diritto di dire che quei voti sono tutti suoi. Sarebbero un'ottima base da cui ripartire verso le elezioni politiche, magari assieme a Matteo Renzi, Brugnaro, Toti e gli altri. Se però Calenda non riesce a guadagnarsi uno spazio politico nella capitale, è difficile che lui e gli altri se lo ricavino a livello nazionale: le ambizioni di tutti si ridimensionerebbero.
Ce n'è pure per il centrodestra. Michetti può anche perdere, ma deve farlo a testa alta, con uno scarto minimo. Per se stesso e pure per Giorgia Meloni, che su di lui ha puntato molto, imponendosi per candidarlo. Sulla bilancia del centrodestra, insomma, non finiranno solo i voti presi da Fdi e Lega, ma pure il risultato dell'autoproclamatosi «tribuno del popolo».
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