Francesco Olivo per la Stampa
L’ ordine era chiaro: non mischiare calcio e politica. «Ma poi entri e vedi questi qui di Madrid, come si fa a dimenticarsi della nostra lotta?». Stadio Montilivi, Girona, nel cuore dell' indipendentismo arriva il Real Madrid, «il simbolo di tutto quello che vogliamo metterci alle spalle», dice un tifoso entrando.
Il calendario della Liga ha fatto uno scherzo ai campioni d' Europa e una banale trasferta in casa di una neo promossa, una passeggiata di salute o poco più, si trasforma in un assedio in terra ostile: «Benvenuti nella Repubblica catalana». Il precario impianto, alla periferia della città, diventa un catino spaventoso, anche per gente preparata a tutto. Sugli spalti bandiere indipendentiste, non tantissime «perché ormai siamo già liberi», dice il medico Santi, con la faccia di chi sa di esagerare. È anche il giorno del patrono, Sant Narcis e i significati sono talmente tanti che «il risultato non conta», si sente ripetere. Due ore più tardi nessuno la pensa più così.
Davide contro Golia, immagine che è facile da adattare: Cristiano Ronaldo contro tal Portu, il piccolo Girona contro il mitico Real e, in fondo la Catalogna contro il resto del mondo, che non riconosce la nuova nazione. Come andrà a finire per Puigdemont e soci non è chiaro, forse non bene.
Ma al Montilivi il miracolo avviene: la squadra del presidente destituito e resistente batte quella del suo nemico Mariano Rajoy e gli occhi lucidi si sprecano al fischio finale. Lui, Puigdemont, abita a meno di dieci chilometri da questo stadio, eppure ha preferito non esporsi.
L' ultima volta che è stato qui, si giocava contro il Barça, la seconda squadra di tutti gli abitanti di Girona («la prima è quella che gioca contro il Madrid», scherza David abbonato della curva nord). Mancavano allora pochi giorni al referendum indipendentista e il presidente fu accolto come un eroe.
Stavolta si limita a un tweet, ma con mille risvolti: «La vittoria è un esempio utile anche per altre situazioni», scrive con evidenti riferimenti personali.
Al suo posto in tribuna autorità ieri sedeva Florentino Perez, presidente del Real Madrid, uno degli uomini più potenti di Spagna. Quando Florentino entra l' accoglienza è gelida, ma non aggressiva. Qualcuno gli grida contro, «ladro», ma è nulla rispetto a quello che si sente in un qualunque stadio italiano.
Un giovane gli sventola sotto il naso una bandiera catalana, ma lui fa finta di nulla, sorridendo come solo un «todo poderoso» sa fare. Pur in un ambiente civile, il presidente è assediato, dalla sua soltanto Emilio Butragueño e qualche dirigente: alla sua sinistra, una poltrona più in là c' è la sindaca di Girona, Marta Madrenas, con il fiocco giallo sul bavero che ricorda la detenzione dei due leader indipendentisti, una che ha fatto levare la bandiera spagnola meno di 48 ore fa dalla sede del Comune. Alla destra, invece, c' è Roger Torrent, dirigente di Esquerra Republica, il partito che con più tenacia ha portato avanti il sogno della secessione. Una fila più in alto, c' è invece Pere Guardiola, fratello di Pep, azionista del Girona e di solida famiglia indipendentista.
Insomma, anche senza Puigdemont, Florentino è circondato. Quello che non ci si aspettava è che circondassero in campo anche Cristiano Ronaldo, Benzema e Sergio Ramos. Il primo tempo scorre tranquillo fino al minuto, 17, e 14 secondi, il momento che ricorda l' anno della sconfitta della Catalogna (11 settembre 1714): si alza il coro «indipendenza indipendenza» e poi «libertà, libertà». Si alzano tutti in piedi, si sventolano le «esteladas», i vessilli secessionisti e si guarda la tribuna autorità con occhiate di sfida. Nel piccolo settore ospiti ci sono invece le bandiere spagnole dei tifosi rivali, «se è una provocazione ce ne freghiamo», dice Santi al figlio.
La politica si prende i suoi spazi, ma il Madrid non se ne accorge e passa in vantaggio, «come è normale che sia» dice il signor Albert. Nell' intervallo nessuno ci crede più e si torna a parlare dell' articolo 155, che da oggi consentirà alla Spagna di operare in lungo e largo nell' amministrazione catalana. Nel secondo tempo, però, arriva una rimonta incredibile, che costringe tutti a fare paralleli, magari forzati: «Ce la faremo anche noi». I campioni crollano miseramente: Cristiano Ronaldo va a sbattere contro la difesa, Sergio Ramos rincorre affannato anonimi attaccanti, persino Isco, quello che di recente ha umiliato l' Italia, dopo aver segnato lo 0-1, sbaglia tutto e finisce in balia dei mestieranti di Puigdemont. Finisce 2-1 per il Girona, un regalo agli amici del Barcellona che allungano in classifica a +8.
Zidane resta impietrito, «pensiamo al calcio e non alla politica», aveva detto prima di arrivare qui. Ma non sapeva che al piccolo Montilivi si cercava un trionfo che altrove sarà molto più complicato da ottenere.