Sinner giocava a calcio, non passò la palla e suo padre che era l’allenatore lo sostituì. Lo racconta Vittorio Macioce nel bel pezzo che ha scritto per Il Giornale su Jannik Sinner.
È piantato. Non perde il baricentro. È uno dei suoi segreti, l’equilibrio. È qualcosa di cui spesso si sente la mancanza. L’equilibrio non è una virtù tanto di moda, perché l’importante è esagerare. È essere contro. È trovare qualcuno a cui opporsi per definire la propria identità. Io sono ciò che odio.
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Sinner le poche volte in cui si è lamentato, con una smorfia di rabbia o di fastidio, poi si è vergognato. Non è questo che gli hanno insegnato in famiglia. Il lavoro è sacro. Non ci si piange addosso. Non si cercano scuse. Non ci si rifugia in qualche alibi facile o stupido. Quello che fai dipende da te. Il talento è un dono, tutto il resto è fatica.
È l’etica di chi viene dal confine, brava gente di piccoli paesi, con la dignità del lavoro e l’ambizione onesta di sognare in grande. Non lo dici a alta voce, quasi lo sussurri a te stesso, ma dentro di te sai che quel figlio può andare lontano. Lo cresci con l’esempio. Sinner da ragazzo giocava a calcio nella squadra del suo paese. L’allenatore era il padre. Jannik non passa una palla a un suo compagno e Hanspeter lo sostituisce. Non serve spiegare perché. Questa Italia esiste e spesso è nascosta. È ovunque, ma non la trovi illuminata sulla carta geografica. È vera e non si sbraccia… Qualche volta parla tedesco.
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