Gaia Terzulli per www.open.online
Quando i sacrifici nutrono un sogno, la vita, con il suo infinito reticolo di imprevisti, può riuscire a spezzarlo. O a ritardarne la conquista. È la storia di Luca Venturelli, nato a Rimini 18 anni fa con un disturbo dello spettro autistico e già promessa dell’atletica paralimpica italiana, che dopo essersi qualificato ai campionati europei dello scorso giugno, ha visto un macigno crollargli davanti agli occhi e sbarrargli la strada.
Il suo Quoziente Intellettivo (QI), è superiore a 75 e quindi non è ritenuto idoneo per gareggiare a livello internazionale. «Venirne a conoscenza così, all’improvviso, è stato devastante», racconta Luca a Open con la voce che tradisce l’emozione ancora forte.
La sua qualificazione agli europei paralimpici giovanili era avvenuta con buoni risultati. Con i tempi di 2:01 e di 4:11, conseguiti rispettivamente negli 800 e nei 1500 metri, per Luca i tecnici ventilavano addirittura la partecipazione alle paralimpiadi di Parigi nel 2024. Ma un regolamento internazionale ha interrotto la sua corsa.
«Gli atleti con QI superiore a 75 sono esclusi dalle competizioni che si svolgono fuori dall’Italia», spiega la madre del ragazzo, Cristiana Delmonte. «Per la categoria delle disabilità relazionali, che è stata introdotta di recente, è stato preso il QI come unità di misura, anche se nell’autismo è spesso un indice alto che non va a braccetto con le componenti adattive della persona», sottolinea. Un po’ come se, per armonizzare il più possibile tra loro forme diverse di disabilità, sia stato scelto come parametro di riferimento un numero.
Il numero che interrompe un sogno
E per Luca, che ha un QI pari a 97, la partita è finita prima ancora di iniziare. Ma la Fispes (Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali), società a cui il ragazzo è iscritto, «aveva già da tempo questo mio dato. Non riesco a spiegarmi perché sia venuto fuori solo all’ultimo che non avrei potuto accedere ai campionati», si chiede Luca. «Mi ha spezzato il cuore perché sentivo di avere delle possibilità che non ho potuto giocarmi».
Anche il modo in cui ha dovuto apprendere la notizia è stata una doccia gelata. «I tecnici di gara della Fispes l’hanno comunicato a mio padre e a un mio allenatore quando mi ero già qualificato. I miei mi hanno avvisato subito ed è stato un colpo durissimo che lì per lì non sono riuscito a elaborare».
La reazione della famiglia
Senza darsi per vinti, i genitori di Luca hanno chiesto spiegazioni al presidente della Fispes, Sandrino Porru, già atleta azzurro paralimpico. Ma anche lui «ha le mani legate», spiega la madre di Luca. «Tutta la Fispes si è schierata dalla parte di mio figlio e proveranno a fare di tutto per sottoporre il suo caso al Comitato nazionale paralimpico, che poi potrà affrontarlo a livello internazionale».
È questo il desiderio più grande di Luca, «che venga introdotta una categoria a parte per tutti gli atleti paralimpici come me, che hanno un QI superiore a 75». «Lo spettro autistico presenta tante variabili e una soluzione al problema potrebbe essere proprio una classificazione a parte», gli fa eco la madre.
Il post di Luca su Instagram
Nell’attesa che le istituzioni facciano la loro parte, Luca ha deciso di portare il suo caso in quella grande arena virtuale capace di dare risonanza anche ai dolori e di affratellare quanti li vivono e condividono per sentirsi, forse, un po’ meno soli. Su Instagram il video del diciottenne racconta l’amarezza di una sconfitta immeritata, ma anche la voglia di riscatto e di riuscita che alla sua età urgono come un fuoco dentro.
«Il mio percorso nell’atletica paralimpica è stato fermato e non potrò partecipare ai prossimi campionati europei a causa del mio QI superiore a 75», spiega Luca. «Molto spesso le persone autistiche hanno QI molto alti, ma questo non significa che non abbiano difficoltà in molti ambiti: sociali, verbali, sensoriali e nelle autonomie. Il QI intellettivo non ci rappresenta», scandisce serio.
«Purtroppo c’è un regolamento internazionale che non è specifico per gli atleti autistici, ma per una grande categoria “cognitiva relazionale” che contiene molte persone diverse. Questa regola mi ha fermato, ma non fermerà la mia voglia di allenarmi e gareggiare. Lo sport è la mia vita. In questi giorni ho capito che il mio sogno è correre ed è comunicare e aiutare».
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