Antonio Pinelli per la Repubblica
Dopo un restauro ben riuscito, la retorica consueta esalta la restituzione all' opera del suo "originario splendore". Il rientro agli Uffizi dell' Adorazione dei Magi di Leonardo, felicemente risanata dopo un' ospedalizzazione durata quasi sei anni nei sapienti laboratori dell' Opificio delle Pietre Dure alla Fortezza da Basso, merita frasi meno scontate.
L' Adorazione, che è il dipinto vinciano su tavola di maggiori dimensioni giunto fino a noi (cm 240 x 244), non ha mai posseduto un suo "splendore originario", se non altro perché l' autore, nel 1482, dopo pochi mesi di lavoro, decise di andarsene a Milano, dove rimase per quasi vent' anni alla corte degli Sforza, lasciandola incompiuta: un magmatico abbozzo brunastro, lumeggiato di biacca, in cui affiorano parti più definite ed altre assai meno, ma senza che nessuna di esse attinga lo stadio finale di un' immagine policroma.
Questa sua incompiutezza non l' ha resa meno suggestiva, anzi, ne ha aumentato il fascino, avvolgendola di un brumoso alone di inquietante mistero.
Le indagini riflettografiche compiute nel 2001-2002 sull' Adorazione avevano evidenziato sconnessioni della tavola e danni della pellicola pittorica che rendevano necessario un intervento di restauro, ma le furiose polemiche innescate da Maurizio Seracini, un bioingegnere italo-americano che nel frattempo preparava il terreno per sforacchiare gli affreschi vasariani nel Salone dei Cinquecento, alla vana ricerca del perduto fantasma della Battaglia d' Anghiari, avevano indotto Antonio Paolucci a una prudente pausa di riflessione.
Dopo nove anni, furono Cristina Acidini, che era succeduta a Paolucci nel ruolo di Soprintendente al Polo museale fiorentino, e Antonio Natali, allora direttore degli Uffizi, a rompere coraggiosamente gli indugi, affidando il dipinto vinciano alle cure dell' Opificio delle Pietre Dure, che sotto la direzione di Marco Ciatti ha da tempo consolidato una fama di eccellenza internazionale nel campo del restauro.
Generosamente finanziato dall' Associazione "Amici degli Uffizi", il progetto conservativo ha comportato preliminarmente una lunga e complessa campagna diagnostica, condotta con attrezzature avveniristiche, tecniche rigorosamente non invasive e metodo pluridisciplinare, integrando le diverse competenze professionali di restauratori, storici dell' arte ed esperti scientifici. Ne è scaturito un restauro esemplare. Le operazioni hanno rivelato segreti insospettati: ad esempio, che originariamente il dipinto era un po' più grande, essendone stati resecati alcuni centimetri della parte inferiore. Si è appreso, inoltre, che Leonardo non si è curato di "incamottare" con una tela le assi di legno del supporto, come si usava a Firenze, ma ha steso uno strato di preparazione in gesso, colla e fibre vegetali, adottando una tecnica ben nota nel Quattrocento nordeuropeo e in Spagna, ma che, per quel che sappiamo, fu usata prima di lui in Italia solo nella Flagellazione di Piero e nella predella mantegnesca della Pala di San Zeno. Ne esce, dunque, ulteriormente confermata, quell' attitudine instancabile alla sperimentazione che è al tempo stesso la cifra più autentica del genio leonardesco, ma anche, ahimé, la causa della perdita di tante sue opere.
Ma c' è di più. La ripulitura della superficie pittorica ha reso leggibili, oltre a embrioni di figure che a malapena s' intravedevano, anche altre immagini del tutto insospettabili, che rivelano come Leonardo abbia elaborato il disegno direttamente sulla tavola, correggendo e inventando in corso d' opera, all' impronta.
La tavola appare perciò eloquente incunabolo, quasi una radiografia in movimento, del febbrile processo creativo leonardesco, Solo lo sfondo architettonico fu delineato dall' artista sulla tavola senza ripensamenti e con grande rigore prospettico, seguendo i principi dell perspectiva artificialis brunelleschiana, che egli aveva avuto modo di discutere con il matematico Paolo dal Pozzo Toscanelli. Dal catalogo (Giunti) si apprendono altri misteri rivelati dal restauro. Come quelli iconologici, spiegati in un saggio di Antonio Natali, le cui precoci intuizioni circa l' influenza delle profezie di Isaia sul concetto sotteso all' Adorazione leonardesca hanno trovato nuove conferme dopo la ripulitura.
Un intervento di Jonathan K. Nelson, inoltre, dimostra che l' Adorazione dei Magi, eseguita da Filippino Lippi 1496 per l' altar maggiore di San Donato a Scopeto, in sostituzione di quella lasciata incompiuta da Leonardo nel 1482, oltre ad essere ancor più influenzata dagli scritti di Sant' Agostino sull' Epifania come festa di tutti i popoli, in quanto annuncio di una religione universale, esibisce vari ritratti di membri del casato mediceo non previsti nella precedente versione leonardesca, perché, per le mutate condizioni politiche, i Canonici regolari di Sant' Agostino, committenti dell' opera, avevano sentito il bisogno di tutelarsi con un omaggio ai potenti banchieri.
La mostra, sapientemente allestita in tre sale continue dall' architetto Antonio Godoli, offre ai visitatori non solo la stupefacente epifania dell' Adorazione risanata, ma anche la possibilità di confrontarla con la pala di Filippino che la sostituì, fino a quando, nel 1529, la chiesetta di san Donato a Scopeto, su una collina poco fuori Firenze, fu demolita dalla Repubblica che aveva cacciato i Medici, per impedire che l' esercito imperiale assediante se ne avvantaggiasse installandovi le proprie artiglierie. In seguito, sia la tavola di Leonardo che la sua sostituta pervennero agli Uffizi, dove ora la prima attende che siano finiti i lavori nel terzo corridoio della Galleria, per trasferirvisi insieme alle due altre opere vinciane possedute dagli Uffizi: l' Annunciazione e il verrocchiesco Battesimo di Cristo, in cui Leonardo, giovanissimo, esordì accanto al suo maestro.
L'ADORAZIONE DEI MAGI leonardo da vinci autoritratto