AUTOSTRADA SENZA USCITA? - LA TRATTATIVA COI BENETTON RISCHIA DI ARENARSI E CDP NON ESCLUDE IL PASSO INDIETRO - A DUE MESI DALL'ANNUNCIO NON C'È ANCORA L'ACCORDO. ATLANTIA FA SAPERE CHE SE ANDRÀ MALE METTERÀ LE AZIONI DI AUTOSTRADE PER L'ITALIA SUL MERCATO, DOVE IL CONTO EVENTUALE PER LA CASSA POTREBBE FARSI PIÙ SALATO
Marco Zatterin per ''La Stampa''
Chi riassume il pensiero in casa Cdp assicura, con un tono secco, che Atlantia pare entrata «in modalità "tela di Penelope"». Dal 15 luglio la potente holding pubblica negozia con i veneti l'uscita della famiglia Benetton da Autostrade per l'Italia, scelta che la politica ha giudicato «giusta e inevitabile» per punire quelli che, insieme con buona parte dell'opinione pubblica, ritiene i colpevoli della tragedia del Ponte Morandi. Si avanza fra strappi palesi e, sebbene l'esito sulla carta dovrebbe essere scontato, tira un'aria di tempesta: i protagonisti del duello alternano sorrisi di facciata a stizzite minacce, decise e malcelate.
Nei corridoi dei palazzi romani c'è disappunto. «Non ce l'ha ordinato il dottore», concede un dirigente informato dei fatti, facendo immaginare che la corazzata condotta da Fabrizio Palermo potrebbe anche far saltare il tavolo, e lasciare che il governo attui la minaccia di revocare la concessione. «È una trattativa - ribattono sull'altro fronte -: loro compreranno e noi venderemo, ma le condizioni non possono essere una questione marginale».
Detto questo, Atlantia non fatica a far sapere che se andrà male metterà le azioni di Aspi sul mercato, dove il conto eventuale per Cdp si potrebbe fare più salato. Rottura possibile? Il premier Conte, dispensatore di ottimismo nazionale, ha detto che siamo sulla dirittura finale. «Svolta dopo le elezioni», azzarda una fonte veneta. «Ci vuole pazienza, puntiamo su ottobre», paiono concordare nelle stanze del governo, dove l'effetto dell'instabilità politica sul confronto viene negato.
«Non vedo una maggioranza capace di aiutare di più Atlantia», riassume un alto funzionario, tuttavia «ci sta che occorra attendere l'autunno». Che, si teme, potrebbe tramutarsi presto in un inverno dello scontento. La tragedia e la battaglia Storia lunga e dolorosa, non lunghissima, non ancora. È cominciata il 14 agosto 2018 nella bufera ligure che ha strappato le logore strutture del viadotto sul Polcevera e 43 vite innocenti. Nel dramma e nella furia, si è arrivati a chiedere, e ottenere, la testa dei Benetton, caduta dopo mesi di contese verbali violente.
L'allora governo gialloverde, portatore di un evidente pensiero nazional-social, ha promesso le punizioni più esemplari, la revoca della concessione ad Atlantia e tutti i gestori di strade a pagamento, con il ritorno in scena dell'Anas, a dire il vero non un manutentore da sogno. L'effetto delle dichiarazioni politiche su aziende quotate è stato deprimente: titoli in caduta libera e il presidente della Consob unico a protestare, almeno sinché ne è arrivato un altro e il dossier è stato dimenticato. Nel putiferio di emozioni e proclami, il ministro dei Trasporti Toninelli, l'uomo che vantava il più gran numero di imitazioni, sancì che la revoca andasse fatta senza penale «causa gravi lacune» di Aspi. Si è scoperto che non era vero.
La tela di Penelope
L'esecutivo giallorosso ha dovuto ammetterlo e la trattativa ha preso un'altra piega. La base negoziale è diventata l'estromissione da Aspi dei «cattivi» di Ponzano Veneto e l'ingresso di Cdp, senza soluzione di continuità sulla concessione. C'è stata una fase informale in cui, si racconta a Roma, i messi di Atlantia si sono dimostrati «interlocutori non agevoli e difficili da gestire». Sinché a luglio, s' è cominciato a parlare di dettagli giuridici, tariffe e prezzi. In bicamerale il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri ha concesso che «il negoziato è stato complesso anche perché Atlantia ha proposto operazioni di strutture differenti».
E' la tela di Penelope? Quasi. Il fatto è che due mesi fa, dopo un combattuto Consiglio dei ministri notturno, ci si era accordati per un ingresso diretto di Cdp in Aspi con almeno il 51 per cento. Successivamente, Atlantia ha optato per il lancio di una nuova società veicolo sostenendo che il rischio di svalutare le quote degli azionisti di minoranza (Silk Road, Edf e Allianz col 12 per cento) poteva avere conseguenze. «Tela di Penelope? Non scherziamo - dice una voce dei concessionari -. Siamo privati, tuteliamo l'azienda e l'investimento nei limiti delle intese definite».
«L'approdo è diverso dal previsto, vedete voi cosa pensare», reagiscono in riva al Tevere. La ministra dei Trasporti Paola De Micheli ha inviato il 2 settembre ad Aspi il testo per la modifica della concessione e il piano economico finanziario collegato. «Stiamo aspettando che rispondano». Nell'attesa, dice che il lavoro «arriva a compimento», glissando sulla distanza che si registra sugli effetti del tetto all'aumento del pedaggio (il price cap). In casa Atlantia dicono più o meno le stesse cose, anche se con altri toni. «Vogliamo l'accordo».
Tuttavia, riconoscono che sull'assetto societario, come sui costi, si è ancora in alto mare. Il 3 settembre Atlantia ha ricreato Autostrade Concessioni e Costruzioni, la società veicolo destinata a detenere sino all'88% di Aspi, usando il nome della Spa quotata dall'antico azionista Iri nel 1987. Nel grande schema delle cose, a giochi e quotazione chiusi, Cdp dovrebbe avere circa il 30%, Edizione Holding (Benetton) circa il 26, il resto sarebbe ripartito fra mercato e altri azionisti di Atlantia. Come avverrebbe il conferimento? Accordo prima del listino? Acquisto sul mercato?
Non è stato deciso. Il nodo del prezzo segue a ruota, impossibile da sciogliere senza il piano su tariffe e investimenti, anch' essi contesi. Prima del Morandi, Aspi era valutata poco meno di 15 miliardi: adesso si parla di 11-12. «Stime», puntualizzano a Roma, ma Cdp potrebbe sborsare oltre 3 miliardi per chiudere il caso. Una parte finirebbe ai Benetton, contraddicendo la tesi del «non daremo loro un cent». Questione che porta alla contesa elettorale, perché qualunque esborso a Nordest sarebbe una crepa nella già disputata coerenza M5s.
L'ultima complicanza è il combinato fra il debito in cerca di collocamento (nella nuova o nella vecchia società? E in che misura?) e la manleva, cioè l'esigenza che sente il pubblico di garantirsi da eventuali cause future. Cdp vuole essere certa che una disgrazia eventuale dovuta a vizi del passato non ricada su di lei. Senza assicurazioni, chiede di pagare meno. La controparte, ovviamente, non è d'accordo.
«Abbiamo comprato la rete dall'Iri», è uno degli argomenti. È successo nel 1999. Tutto torna. Il pubblico vende al privato a prezzi discussi, il privato guadagna, succede il peggio, il pubblico deve metterci una pezza e ricompra. Economia circolare, a suo modo. Circolano azioni, soldi e potere. Fermo resta il timore, non ingiustificato, che la sicurezza non sia mai stata quella dovuta. E i pedaggi troppo alti. Ventuno anni fa come oggi.