VAFFANBANKA! - BANKITALIA METTE SUL PIATTO DEGLI ISTITUTI DI CREDITO 15 MILIARDI DI EURO - COME? RIDIMENSIONANDO IL RISPARMIO SOCIALE DELLE COOPERATIVE - E TUTTO QUEL DENARO GIOCO FORZA FINIRÀ NEL CIRCUITO “UFFICIALE” DELL'INDUSTRIA BANCARIA
Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
In ballo ci sono 15 miliardi di euro. È l’ammontare della raccolta delle cooperative attraverso il cosiddetto risparmio sociale. Una attività bancaria-ombra che sta per essere sensibilmente ridimensionata, se non completamente azzoppata. Perché la Banca d’Italia, che fino allo scorso anno dichiarava di avere - di fatto - le mani legate, è entrata a gamba tesa contro le coop. Con nuove regole sulle garanzie. Via Nazionale ha messo sul tavolo un giro di vite regolamentare che ha l’obiettivo di aumentare le tutele per i soci-clienti sia sui finanziamenti sia sulla raccolta di denaro da parte delle cooperative.
L’ex istituto di emissione pretende maggiore trasparenza e prevede un limite secco per i prestiti che non potranno essere superiori al triplo del patrimonio della coop-banca. Una mossa che, alla fine della giostra, potrebbe costringere alcune realtà del mondo cooperativo a «chiudere» lo sportello, rinunciando a un pezzo di attività rimasto troppo a lungo in una pericolosissima zona grigia. Non a caso, negli scorsi anni si sono verificati clamorosi casi di dissesto, in particolare in Friuli Venezia Giulia, con i crac di Coop Operaie Trieste e Coop Arnica finiti al centro di inchieste della magistratura: circa 17mila i soci coinvolti che attendono giustizia «In nome del popolo italiano».
SALVATORE ROSSI DIRETT CENTRALE BANKITALIA
Il giro di vite dell’autorità di vigilanza potrebbe essere gradito dal mondo bancario. Del resto, se le coop dovranno gioco-forza limitare il loro business finanziario, consegneranno clienti e quattrini agli istituti di credito. Un regalo indiretto, quello in arrivo da palazzo Koch, che i banchieri, alle prese con rafforzamenti patrimoniali imposti dall’Europa e i salvataggi degli istituti in crisi (Marche, Etruria, Ferrara, Chieti), apprezzeranno senza dubbio.
Lo stesso direttore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, ha confermato che l’industria creditizia del nostro Paese attraversa una fase critica, sottolineando la difficoltà di «fare reddivitià». A pesare sono ancora le sofferenze, vale a dire quella montagna di spazzatura finanziaria fatta di prestiti non rimborsati che ha superato quota 200 miliardi (cifra che arriva fino a 360 miliardi se si contano anche altri incagli).
Il progetto di una discarica pubblica incontra ancora diversi ostacoli sia in Italia sia a Bruxelles. Ma più passa il tempo e più la zavorra affossa il settore, che cerca «una sfida nuova: la stessa sopravvivenza della banca tradizionale» ha detto Rossi a un evento dell’Abi.
I soci coop aprono quindi una prospettiva appetitosa. La questione del risparmio sociale interessa 1,2 milioni di italiani che hanno «comprato» un salvadanaio nella coop dove fanno anche la spesa alimentare; in totale, come accennato, la singolare raccolta di denaro vale 15 miliardi di cui 11 nelle casse delle nove grandi cooperative del Paese: Unicoop Tirreno, Coop CentroItalia, Coop Lombardia, Coop Adriatica, Coop Nordest, Unicoop Firenze, Coop Estense, Coop Liguria, Nova Coop. Si tratta della galassia Legacoop, presieduta per 12 anni, dal 2002 al 2014, dall’attuale ministro del Lavoro, Giuliano Poletti (che potrebbe non aver gradito). Per le cooperative è un colpo pesantissimo, anche se continueranno a godere di alcuni privilegi, in campo finanziario, sfuggendo al completo controllo e alla vigilanza di Bankitalia.
Di là dai risvolti più politici, un punto fermo, in ogni caso, era necessario. Anche per arginare quell’«esercizio abusivo dell’attività di raccolta del risparmio» che è un reato, ma non semplice da intercettare. L’Adusbef, per la verità, aveva visto lungo: i primi esposti dell’associazione presieduta da Elio Lannutti, in effetti, risalgono al 2013. Due anni dopo, arriva il regolatore. twitter@DeDominicisF
2. COSÌ IL GOVERNO PRENDE IN GIRO 150KILA PICCOLI RISPARMIATORI
F.D.D. per "Libero Quotidiano"
Ammesso (di fatto) il pasticcio, il governo prova a correre ai ripari. Con un esito che appare scontato: per tutelare i piccoli risparmiatori, quelli beffati dal decreto salva banche approvato nel blitz di domenica 22 novembre, saranno succhiati soldi dai contribuenti. Ecco perché. L’azzeramento delle obbligazioni subordinate di Banca Marche, CariChieti, CariFerrara e PopEtruria ha messo sul lastrico 150.000 persone, che hanno perso, dalla sera alla mattina, 728 milioni di euro.
Ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e il suo vice, Enrico Morando, hanno spiegato che quei titoli sono diventati carta straccia per colpa dell’Unione europea e che comunque sono allo studio «misure per dare aiuti». Di che si tratta non è stato chiarito, ma alternative alle casse dello Stato non esistono: non si possono chiedere forme di rimborso alle nuove banche (hanno capitale minimo) né immaginare risarcimenti a carico del Fondo di risoluzione della Banca d’Italia (ha già esaurito le risorse).
Le associazioni dei consumatori continuano a essere sommerse di richieste da parte di chi è rimasto fregato e ora è letteralmente disperato. E mentre studiano azioni legali e super class action, provano a impugnare l’intera operazione per via «amministrativa». Federconsumatori e Adusbef hanno presentato un ricorso urgente al Tar del Lazio contro il provvedimento di Bankitalia che ha annullato, in un colpo solo, azioni e bond subordinati.
Sul piede di guerra, tuttavia, non ci sono solo i consumatori. Le banche più piccole sparano ad alzo zero contro il primo bail in in salsa italiana, prendendo le distanze dai big che invece avevano avallato l’intervento. Federcasse, l’associazione del credito cooperativo, ieri ha espresso «preoccupazione» sulla strada scelta da Bankitalia e governo per gestire il salvataggio dei quattro istituti in crisi. Strada che «inciderà sulla redditività di tutta l’industria bancaria» e, soprattutto per le bcc, in «misura considerevole anche sui peculiari processi di patrimonializzazione». Dito puntato contro palazzo Chigi, in particolare, per il ritardo con cui ha recepito le regole Ue sulla risoluzione delle crisi.