L’INCHIESTA SU MPS-ANTONVENETA SCOPRE L’ACQUA CALDA: CI FURONO PRESSIONI POLITICHE DEI DS PER FAR PARTECIPARE LA BANCA ALLA SCALATA A BNL

Fiorenza Sarzanini per il "Corriere della Sera"

Ci sono state pressioni politiche per far partecipare il Monte dei Paschi alla scalata della Bnl. Ha nuovi e clamorosi risvolti l'indagine dei magistrati di Siena sull'acquisizione dell'Antonveneta, pagata nel 2007 oltre dieci miliardi di euro con una plusvalenza che supera i tre miliardi.

Perché sono i protagonisti della vicenda a rivelare come Mps fosse terra di conquista da parte dei politici della sinistra, ma anche del centrodestra con riunioni a Palazzo Chigi per l'indicazione sui consiglieri di amministrazione da nominare. I verbali degli interrogatori di testimoni e indagati svelano i retroscena delle trattative condotte negli ultimi anni. Il resto lo fanno le informative degli specialisti del Nucleo valutario guidati dal generale Giuseppe Bottillo che ricostruiscono i momenti chiave degli affari conclusi.

FASSINO E LA SCALATA DI UNIPOL
È il 12 febbraio scorso. Davanti ai pubblici ministeri Antonio Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso arriva Marco Parlangeli, provveditore della Fondazione Mps dal 2003 al 2011. Parla di tutte le ipotesi di fusione bancaria esplorate in questo periodo. Sostiene che quando fu informato dell'acquisizione di Antonveneta «fui sorpreso dal prezzo che a me sembrava particolarmente elevato e lo segnalai a Mussari dopo l'acquisizione».

Ricostruisce, sia pur tra mille incertezze, il ruolo avuto dalla Fondazione. Poi i magistrati affrontano il capitolo delle possibili ingerenze dei partiti e lui dichiara: «Non so di pressioni politiche per l'acquisizione di Antonveneta. Le uniche pressioni politiche di cui sono a conoscenza sono quelle esercitate da Piero Fassino sul presidente Giuseppe Mussari per supportare Unipol nella scalata della Bnl. A tale pressione mi sono opposto perché ritenevo che quell'operazione non era favorevole a Mps».

Parlangeli non è l'unico a rivelare il ruolo dei politici. Ulteriori circostanze vengono messe a verbale da Gabriello Mancini, presidente della Fondazione dal maggio 2006. Il 24 luglio 2012 viene convocato dai magistrati e dichiara: «La mia nomina, così come quella di Mussari, fu decisa dai maggiorenti della politica locale e regionale e condivisa dai vertici della politica nazionale.

Il mio principale sponsor era l'onorevole Alberto Monaci. Non partecipai alle riunioni sulla mia nomina e quella di Mussari però Monaci mi riferiva che era stato trovato un accordo con i Ds. Ci fu una riunione a Roma nell'attuale sede del Pd con l'onorevole Francesco Rutelli alla quale partecipai con Monaci, l'onorevole Antonello Giacomelli, segretario regionale della Margherita e Graziano Battisti, segretario provinciale del partito. A Rutelli venne prospettato l'accordo raggiunto e lui diede il suo assenso».

LA TRATTATIVA DI LETTA
Mancini descrive agli inquirenti la «spartizione» del consiglio di amministrazione di Mps «composto da tre persone - Mussari, Graziano Costantini e Fabio Borghi, quest'ultimo espressione anche della Cgil - inquadrabili nell'area ex Ds, due persone - Ernesto Rabizzi e Monaci - inquadrabili nell'area ex Margherita, una persona - Andrea Pisaneschi - espressione del Pdl». Poi entra nei dettagli e aggiunge: «Devo dire che Pisaneschi era già componente del Cda ed era persona vicina all'onorevole Gianni Letta, come mi rappresentò in più occasioni lo stesso Pisaneschi.

Ricordo che per il rinnovo del Cda telefonai a Letta e chiesi appuntamento a Palazzo Chigi poiché a livello locale e regionale vi erano fibrillazioni. Durante l'incontro Letta mi disse che andava certamente bene la conferma di Pisaneschi ma che avrebbe dovuto parlarne con il presidente Berlusconi per la definitiva conferma. Letta mi prospettò anche la conferma del dottor Querci quale espressione dei soci privati della banca e anche su questo mi disse che avrebbe dovuto parlarne con il presidente. Dopo alcuni giorni Letta mi telefonò, mi disse che aveva parlato con Berlusconi che aveva dato l'assenso alle due nomine».

In questa fase entrano dunque in gioco altri fattori. È sempre Mancini a rivelarlo. «Dissi che per Pisaneschi mi Verdini che mi disse delle valutazioni in corso per il nome da indicare per il Cda». sarei impegnato in prima persona e per Querci avrei parlato con l'ingegner Francesco Gaetano Caltagirone che raccoglieva il consenso dei privati. Discussi con Caltagirone la nomina di Querci rappresentandogli che la proposta veniva da Letta con il consenso di Berlusconi. Dopo alcuni giorni mi confermò l'indicazione. Relativamente alle fibrillazioni all'interno del Pdl, ebbi un incontro con Claudio Marignani segretario provinciale del partito e vicino all'onorevole

SOCIETÀ CONTROLLATE E FINANZIAMENTI
Nel successivo interrogatorio del 31 gennaio 2013 Mancini parla di «forti ingerenze dei partiti per le nomine nelle società controllate da Mps e poi svela il sistema utilizzato». Un meccanismo che evidentemente ancora funziona viste le polemiche di questi giorni sulla nomina in Fondazione di Alessandra Navarri, fino a poco tempo fa assistente parlamentare dell'onorevole Anna Serafini, moglie di Fassino.

Rivela il presidente della Fondazione: «Era Mussari che decideva le nomine e mi informava. Il suo riferimento era Franco Ceccuzzi, di area dalemiana. Posso dire che aveva un cordiale rapporto anche con Veltroni quando divenne segretario del Pd. Il punto di riferimento nel Pdl era l'onorevole Verdini. Altra persona con cui aveva rapporti era Gianni Letta. Ricordo che Letta affermava che Mussari era il suo riferimento in banca, mentre io ero il suo riferimento in Fondazione».
Poi si parla di soldi e Mancini afferma: «Quanto ai finanziamenti dei progetti da parte della Fondazione arrivavano continuamente sollecitazioni politiche in ordine alla concessione».

 

 

piero fassino MARCO PARLANGELIGabriello Mancinimussari arriva in tribunale VIGNI MUSSARI Gianni Letta DENIS VERDINI Denis Verdini

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