INVECE DI DARE GRATIS IL NOSTRO CERVELLO A TWITTER, FACEBOOK E GOOGLE RENDIAMO “SOCIAL” ANCHE I PROFITTI

Maria Teresa Cometto per "CorrierEconomia - Corriere della Sera"

La terra promessa per diventare famosi e ricchi in fretta. L'arma per abbattere dittature ed espandere la democrazia. Il serbatoio di dati per risolvere i più complessi problemi. Internet è questo e altro per certi fanatici dell'high-tech. Ma ad abbattere le visioni utopiche del web arrivano dall'America le provocazioni di alcuni protagonisti di primo piano del mondo tecnologico.

Lo scienziato Jaron Lanier, pioniere della «realtà virtuale», nel libro Who owns the future? («Chi possiede il futuro?», uscito la settimana scorsa negli Usa) denuncia i social media - da Facebook a Twitter - come sfruttatori delle informazioni ricevute gratis dai loro utenti con un modello di business che sta distruggendo la classe media e la stessa democrazia.

In un altro nuovo libro - The New digital age («La nuova era digitale») - il presidente di Google Eric Schmidt e il responsabile del pensatoio Google Ideas Jared Cohen sottolineano che i social media da soli, senza una leadership umana, non possono rivoluzionare i governi e Internet può anzi essere usato per rafforzare i regimi totalitari.

Mentre l'esperto di media Evgeny Morozov nella sua ultima opera To Save Everything, Click Here («Per salvare tutto, clicca qui») argomenta che il «soluzionismo» - l'ideologia per cui tutti i problemi, anche quelli sociali complessi, possono essere risolti con l'algoritmo giusto - può avere conseguenze inattese peggiori dei problemi che cerca di risolvere.

CONDIVISIONE
L'atto di accusa di Lanier è il più polemico ed è anche una sorta di atto di contrizione. «Sono stato uno dei primi partecipanti nel processo (che ci ha portato a questo punto, ndr) e ho aiutato a formulare molte delle idee che critico in questo libro», ha spiegato Lanier, che già negli Anni '80 aveva creato apparecchi per sperimentare la virtual reality, compresi degli occhiali antenati degli attuali Google Glasses, e che oggi lavora a progetti «speciali» per Microsoft research.

«L'idea originale della condivisione digitale - ricorda Lanier - risale a Ted Nelson negli Anni '60: lui sapeva che la computerizzazione avrebbe minato la proprietà dei contenuti e il suo piano originale prevedeva che ognuno avrebbe ricevuto micro pagamenti per le cose di valore messe online». Non è andata così e oggi «noi diamo gratis il nostro cervello a Twitter, Facebook, Instagram, Google, loro ci fanno i profitti», sottolinea Lanier. Che lancia un appello ai giovani: alzate la testa dagli smartphone, tablet, laptop su cui state aggiornando il vostro «status» e chiedetevi perché la vostra situazione non migliora.

Secondo lui è perché la nuova generazione ha di fronte solo due vie. Una porta alla ricchezza e al successo ma pochissimi ci arrivano, «stando vicini a uno dei grandi computer che gestiscono tutto, magari trovando un lavoro a Google o Facebook o anche in una banca di Wall Street che fa lo stesso gioco: raccogliere le informazioni di tutti per calcolare come guadagnar soldi e potere».

L'altra via è partecipare a «una sorta di casinò: mettere online i tuoi video, tweet, foto, promuovendo te stesso nella speranza di diventare uno dei pochissimi che ce la fanno, ma dentro di te sai che vince sempre il banco». La terza via, quella che una volta portava alla vita «ragionevolmente sicura» della classe media, non esiste più.

GIOVANI
Per spiegare come mai Lanier cita l'esempio dell'impatto della tecnologia digitale sulla fotografia: quando si usava la pellicola, Kodak guadagna sui prodotti che creava e vendeva, impiegando 140mila lavoratori e mantenendo altrettante famiglie della classe media; oggi Instagram, il marchio più popolare delle foto condivise online, impiega 13 persone e fa soldi sui contenuti creati da altri, da tutti noi.

Lanier non ha soluzioni pronte ma spera nella nascita di un movimento per una «dignità di massa» nell'era di Internet, animato da una futura generazione di americani capaci di «farsi pagare per quello che aggiungono a Facebook/Instagram/Twitter e tutto il resto».

Schmidt e Cohen credono ancora che «il futuro digitale possa essere radioso», ma mettono in guardia contro «il suo lato oscuro»: «La tecnologia non solo aiuta i "buoni" a spingere per le riforme democratiche, può anche fornire nuovi strumenti potenti ai dittatori per sopprimere il dissenso».

Succede da Teheran a Pechino, dove gli autocrati stanno costruendo sistemi per monitorare e contenere l'opposizione, spesso con l'aiuto di aziende occidentali - documentano i due autori di Google -: il traffico di software per analizzare le miniere di dati online a fini repressivi e di altri prodotti come quelli per raccogliere e immagazzinare informazioni biometriche dei cittadini, è la versione digitale del traffico di armi.

E contro questo organizzarsi con i social media per scendere in piazza non basta: ci vogliono leader con un programma democratico credibile, altrimenti le proteste fanno la fine della Primavera araba.

Anche Morozov smitizza l'idea di rendere più trasparente il modo di far politica solo con l'uso di Internet e avverte che stiamo rischiando di finire in balia di tecnologie intelligenti sempre più invadenti e disegnate in modo da «minare la nostra autonomia e sopprimere comportamenti che qualcuno da qualche parte ha deciso essere non desiderabili».

 

LANIER MOROZOV E SCHMIDT JARON LANIER LOGO FACEBOOK IN MEZZO AI DOLLARIlogo twitter GoogleINSTAGRAMTED NELSON

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