IL FALLIMENTO VA DI MODA - CESARE PACIOTTI CHIEDE IL CONCORDATO PREVENTIVO, LE BANCHE E I CREDITONO VOGLIONO 30 MILION E LUI ACCUSA I GRANDI NEGOZI: "NON PAGANO LA MERCE"


Gian Luigi Paracchini per il "Corriere della Sera"

«Eh le banche! È proprio vero che ti prestano l'ombrello quando c'è il sole e te lo chiudono in faccia quando piove...». Si può anche scivolare rovinosamente sul bagnato e non perdere lo spirito, come dimostra Cesare Paciotti, imprenditore-stilista, un idolo del vasto popolo femminile in tacco 12.

Abituato a finire sui giornali sempre abbronzato assieme a stelle filiformi che ondeggiano sulle sue calzature con il logo dello stiletto, il marchigiano Paciotti, 56 anni, presidente dell'omonima società di Civitanova Marche (calzature, pelletteria, abbigliamento più svariate licenze per gioielli, occhiali, profumi, intimo) ha chiesto il concordato preventivo al Tribunale di Macerata perché i conti non tornano. Banche e creditori - alcuni dei quali avevano già chiesto il suo fallimento - reclamano una somma attorno ai 30 milioni.

E lui? Lancia imprecazioni in puro marchigiano contro la crisi e ribalta la frittata: «Sono debitore soltanto perché a mia volta ho troppi debitori. Dalla nostra cassa quest'anno mancano oltre sei milioni da parte di gente che ha ritirato la nostra merce e non l'ha mai pagata. Tutti negozi importanti in altrettanto importanti città e ognuno ha una storia da raccontare, una dilazione da chiedere, anche se non mancano i furbetti. Ormai questa situazione per troppa gente è diventata un alibi: con la crisi pagare quello che hai comprato sta diventando un optional».

La matematica però non è un opinione: anche disponendo dei sei milioni, il buco nero resta. «Al sistema basta vedere un po' di liquidità: sarebbe stata una somma più che sufficiente per calmare le acque ed evitare conseguenze a cui faremo senz'altro fronte ma che non meritavamo».

Non è in ballo una questione d'orgoglio ferito o d'immagine velata. È lo stato d'animo dei 250 dipendenti dell'azienda (più altri 250 d'indotto in Italia e 1.200 in Romania, dove si assembla una parte dei prodotti) a preoccupare Paciotti.

«Anche se la loro reazione mi ha profondamente commosso. Abbiamo brindato insieme e non ce n'è uno che non m'abbia abbracciato. Dopo un periodo in cassa integrazione sono tornati tutti a lavorare perché da un sacco di parti aspettano le consegne. Questo bilancio s'è chiuso con un 12% in più rispetto al 2012, negli ultimi due anni abbiamo aperto una decina di boutique in Oriente e ora siamo attesi a Kiev e San Pietroburgo. No, non è un'azienda che rischia il fallimento».

A chi lo accusa di eccessiva grandeur, di campagne pubblicitarie dispendiose con i migliori fotografi e con nomi splendenti come Carla Bruni, Stephanie Seymour, Cameron Diaz e Bianca Balti, lo stilista, padre di tre figli dai 3 ai 26 anni, ribatte di non aver mai perso il solido pragmatismo marchigiano e l'esempio dei genitori che nel 1948 hanno avviato l'attività in un'Italia ben più in crisi di questa.

«D'altra parte se per il 2014, quindi pochi mesi fa, ho voluto come testimonial del marchio un grande dello sport come Francesco Totti e la sex symbol nazionale, cioè Belen Rodriguez, due star che certo non si muovono per un pezzo di pane, vuol dire che ci muovevamo in assoluta tranquillità. Mia sorella Paola, amministratore delegato, non è abituata a fare voli di fantasia».

E l'ipotesi di qualche gruppo pronto a farsi avanti per rilevare tutto l'ambaradan? Magari qualche gruppo francese tanto per cambiare. «Inutile che nemmeno ci provino a venire. Non abbiamo nessuna intenzione di vendere».

 

 

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