LA GUERRA AL VIRUS SPEGNE LA GUERRA COMMERCIALE? - GLI USA COSTRETTI A RIMUOVERE I DAZI SUI PRODOTTI SANITARI CINESI: LE IMPORTAZIONI ERANO PIÙ COSTOSE E HANNO FRAMMETATO LE CATENE DI FORNITURA. MENTRE I NEMICI DEL PRESIDENTE PROVERANNO A IMPUTARGLI IL DISASTRO SANITARIO, I SUOI SOSTENITORI HANNO LANCIATO L'INDAGINE SULLE RESPONSABILITÀ DELLA CINA NELLA PRIMA FASE DELL' EPIDEMIA
Stefano Feltri per il “Fatto quotidiano”
Tra le tante vittime del Covid-19 c' è la politica commerciale degli Stati Uniti verso la Cina, in particolare la guerra dei dazi decisa da Donald Trump nel 2018. Senza grandi annunci, il 10 e il 12 marzo l' Amministrazione Trump ha deciso di esentare alcuni prodotti cinesi da dazi in vigore da due anni perché servono nella lotta contro il Coronavirus.
Un' ammissione di colpa che non è sfuggita al Peterson Institute, autorevole think tank che monitora la guerra delle tariffe: tra il 2018 e 2019, per effetto dei dazi decisi da Trump, le importazioni di prodotti medici cinesi sono crollate del 16 per cento, per un controvalore di 200 milioni di dollari.
In un' audizione del 20 giugno 2019 presso lo US Trade Representative - il negoziatore commerciale del presidente - Linda O' Neil dall' associazione dei distributori di materiale sanitario aveva avvertito la Casa Bianca: "Sono sicura che tutti voi leggiate le notizie, è scoppiata una epidemia di ebola in Africa, un singolo caso negli Stati Uniti farebbe aumentare in modo esponenziale la domanda di dispositivi di protezione sanitaria.
E la Cina è uno dei primi tre Paesi da cui ci riforniamo".
Quasi il cento per cento dei guanti usa e getta usati in America, uno degli strumenti cruciali per maneggiare i pazienti Covid, è di importazione cinese. Ma per Trump l' esigenza di ostentare una linea dura contro la Cina era assai più importante di quella di farsi trovare pronto nel caso di un evento così improbabile come una pandemia globale che facesse salire all' improvviso la domanda di prodotti così banali come guanti e mascherine. E quindi ha introdotto i dazi anche sui prodotti sanitari che hanno reso le importazioni più costose e, soprattutto, hanno frammentato le catene di fornitura (le imprese americane hanno iniziato a cercare fornitori più economici fuori dalla Cina).
Col risultato di rendere la caotica risposta degli Stati Uniti all' epidemia ancora più costosa e meno efficace.
Mentre i nemici del presidente cercano le sue impronte digitali su quello che si delinea come un disastro sanitario, i suoi sostenitori avviano una campagna di tipo diverso: indagare sulle responsabilità della Cina nella prima fase dell' epidemia. Lo scopo principale è contrastare la formidabile macchina della propaganda del Partito comunista di Pechino che presenta il contrasto del Covind-19 a Wuhan come un successo dovuto alla superiorità di un governo autoritario sulle inefficaci democrazie occidentali.
Trump e i trumpiani non possono permettersi che la Cina venga guardata con ammirazione per il contrasto alla pandemia e con riconoscenza da Paesi un tempo molto filo-americani, come l' Italia, che ora sono sempre più vicini a Pechino, che ringrazia mandando medici e aiuti durante la crisi.
Il deputato repubblicano del Texas, Michael McCaul, ha scritto una inusuale lettera agli amministratori delegati delle quattro grandi aziende del web - Google, Amazon, Facebook e Twitter - per chiedere di "fermare la diffusione della disinformazione cinese sulle vostre piattaforme". Nello specifico, scrive il deputato McCaul, il Partito comunista sta usando piattaforme digitali americane "nel tentativo di far dimenticare quello che tutti noi sappiamo essere vero sulle origini della pandemia, cioè che è scoppiata a Wuhan, mentre media vicini al partito e funzionari continuano a diffondere la bugia che il virus sia stato portato da militari americani".
Il presidente Trump non perde occasione per chiamare il Covid-19 il "virus cinese", scandalizzando tutti i liberal e il New York Times che sono molto più sensibili al pericolo del razzismo che a quello della propaganda di Pechino.
Questo livello di polemica serve giusto a guadagnare qualche titolo sui siti web, Facebook, Google, Amazon e Twitter non faranno nulla per arginare la propaganda cinese, come non hanno fatto molto per fermare quella dei russi, tuttora in corso. Ma lo scontro su come è stata gestita la fase iniziale della pandemia è serio. In tanti, negli Stati Uniti, stanno sollevando dubbi sulle responsabilità cinesi. Per Pechino è vitale difendere la propria narrazione visto che finora è riuscita a trasformare quello che tutti vedevano come il suo "momento Chernobyl" (le autocrazie prima o poi producono catastrofi planetarie) in una formidabile operazione di immagine e soft power.
"Perché credete alla Cina sul Covid-19", domanda Derek Scissors, un analista dell' American Enterprise Institute, bellicoso think tank conservatore piuttosto ostile a Pechino. Il punto che solleva Scissors, però, è fattuale: la notizia che gli Stati Uniti hanno più contagiati della Cina si basa sul monitoraggio condotto dalla Johns Hopkins University (la mappa nera e rossa che si vede spesso sul web) la quale, a sua volta, attinge le informazioni sulla Cina da un aggregatore di notizie che si chiama DXY .
xi jinping con la mascherina 5
Su DXY - assicura chi sa leggere il cinese -, le informazioni sono volutamente ambigue: si parla di "diagnosi" di Covid, ma non di tamponi fatti, quindi nessuno sa bene se e come è stato monitorato il contagio.
Ed è credibile che nella provincia dello Jiangsu, vicina a quella del focolaio di Hubei, ci siano stati soltanto 640 casi e nessun morto su 80 milioni di abitanti mentre nell' altrettanto vicina Singapore 700? "La Cina ha sempre misurato in modo scorretto la disoccupazione di proposito, ora sta facendo lo stesso con il Covid-19". Questo genere di polemiche non avrà mai risposte nette, ma fornisce carburante a uno scontro per l' egemonia che è rimasto latente finor,a ma che adesso sta esplodendo.
Gli Stati Uniti hanno costruito l' ordine mondiale di cui sono stati protagonisti sulle ceneri della Seconda guerra mondiale, ora vogliono impedire che la Cina faccia lo stesso tra i cadaveri del Covid. E il primo campo su cui si sta combattendo questa guerra sempre meno fredda è proprio quello della Organizzazione mondiale della sanità, l' agenzia Onu che coordina la reazione dei Paesi alla pandemia.
L' Oms ha un bilancio annuale di 3,8 miliardi di dollari, versati dagli Stati membri, per l' 80 per cento su base volontaria, ma contribuiscono anche altri soggetti privati come la fondazione di Bill Gates che da sola vale l' 8 per cento di tutti i contributi volontari. Eppure la Cina, che nel 2019 ha versato soltanto 86 milioni, sembra avere ormai un' influenza assoluta sull' Oms.
In campo sanitario, per la verità, la Cina si muove soprattutto in modo bilaterale, come quando ha supportato contro l' epidemia di ebola i vari Paesi africani in cui investe. Ma da anni Pechino ha trasformato l' Oms nella leva per aumentare il suo potere nelle organizzazioni multilaterali: tra il 2007 e il 2019 l' Oms è stata la prima agenzia Onu ad avere un funzionario del Partito comunista come presidente, Margaret Chan (i critici ricordano gli elogi al sistema sanitario della Corea del Nord e gli attacchi a Taiwan, rispettivamente principale alleato e principale nemico di Pechino). Nel 2017 la Cina avalla l' elezione del medico etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, un infettivologo esperto di malaria.
La diffusa convinzione che la Cina abbia gestito bene la pandemia si basa sulle relazioni dell' Oms che però, a loro volta, si basano soprattutto sulla versione ufficiale delle autorità di Pechino. Il 14 gennaio scorso, per esempio, l' Oms twitta che "le indagini preliminari condotte dalle autorità cinesi non hanno trovato alcuna evidenza chiara di trasmissione da uomo a uomo del nuovo coronavirus". Ma oggi sappiamo che il primo contagiato a Wuhan era addirittura di novembre e che a gennaio la pandemia stava già galoppando. Soprattutto gli scienziati taiwanesi avevano già avvisato l' Oms, ma per Tedros conta di più la versione della Cina.
Il comitato di emergenza dell' Oms si riunisce per la prima volta il 23 gennaio, tre giorni dopo che la Cina ha annunciato di aver riportato sotto controllo il contagio, e proclama la pandemia soltanto l' 11 marzo, quando già si contano i morti a decine in Italia.
In quel lasso di tempo il contagio si è diffuso, la situazione è precipitata, ma la Cina è passata da focolaio a modello di successo. "Bisognerà stabilire le responsabilità individuali, per il momento è chiaro che l' azione dell' Oms è stata molto limitata dalle scarse comunicazioni dei funzionari cinesi e dalla negazione del problema fino al 20 gennaio, oltre che dalla chiara volontà politica del vertice dell' organizzazione di non chiedere conto a Pechino delle sue responsabilità", scrive Francois Godement dell' Institut Montaigne, influente esperto di Cina.
Lo scontro per la supremazia economica (e politica) tra Cina e Stati Uniti si sta combattendo su molti terreni - dall' Intelligenza artificiale al commercio -, ma sembra che sarà la crisi del Covid-19 e soprattutto, quella che diventerà la sua narrazione prevalente, a stabilire i nuovi rapporti di forza.