SIAMO NELL’EXPOPO’ FINO AL COLLO - A UN ANNO DAL VIA, FERMI O A RILENTO METÀ DEI LAVORI PREVISTI E POI MAZZETTE E ARRESTI: L’EXPO 2015 RISCHIA DI ESSERE L’ENNESIMO, GRANDE FALLIMENTO ITALIANO

Gianni Barbacetto e Marco Maroni per il "Fatto quotidiano"

Sull'orlo della catastrofe. Manca un anno all'inaugurazione di Expo, il 1 maggio 2015, anzi esattamente 355 giorni, e ai ritardi si sono aggiunti gli arresti della Cupola bipartisan degli appalti. In cella è finito anche il manager operativo dell'evento, Angelo Paris, accusato di vendere la sua funzione di pubblico ufficiale al clan delle mazzette. Ora davvero il treno dell'evento, partito tardi e con una tabella di marcia da brivido, rischia di deragliare.

Il programma dei lavori era già fuori controllo due anni fa. Non lo dice un critico No Expo, ma Carmen Leo, l'avvocato che doveva assistere Expo spa nella realizzazione del sito, finita agli arresti domiciliari lo scorso marzo: "Ho finito una riunione con quelli di Expo, hanno un crono-programma che piange vendetta, si trovano nell'impossibilità di completare le opere".

Ora, due anni dopo questa affermazione intercettata dalla Guardia di finanza, la maggior parte dei lavori previsti non è neppure iniziata e ci si trova nella necessità di nominare al volo un nuovo responsabile di costruzioni e appalti, al posto dell'arrestato Paris. Quella in cui sono finiti il commissario Giuseppe Sala e i vertici di Expo è ormai una battaglia contro il tempo che rischia di lasciare sul campo morti e feriti. E non soltanto in senso metaforico.

UNA "TORTA" DA 11 MILIARDI
La storia dei ritardi dell'Expo e delle lotte per spartirsi i suoi 11 miliardi di investimenti pubblici appare fin da subito grottesca. Assegnato a Milano nel marzo del 2008, il primo anno è perso discutendo su poteri e compenso degli amministratori, primo fra tutti quello dell'amministratore delegato Paolo Glisenti, già uomo comunicazione del sindaco di Milano Letizia Moratti.

Alla prima riunione, il presidente del collegio dei sindaci (quelli che controllano la correttezza di amministratori e conti), Dario Fruscio, un leghista che sa fare il suo mestiere, si fa un'idea precisa: "Questo di aziende non capisce niente". Ne chiede la testa. Dopo un braccio di ferro Letizia Moratti cede. Glisenti è sostituito da Lucio Stanca, berlusconiano, ex ministro dell'Innovazione.

È ricordato solo per la pretesa di una sede più lussuosa rispetto alla cinquecentesca villa di Quarto Oggiaro che gli aveva assegnato, gratis, la Provincia. Lui pretende 2.300 metri quadrati a Palazzo Reale, al costo di 1,1 milioni l'anno, altrimenti se ne va. Riesce a indispettire tutti, dal sindaco al presidente della Regione Roberto Formigoni, fino ai rappresentanti del Tesoro.

Anche lui è costretto ad andarsene. Lascia il posto a un manager vero, Giuseppe Sala, già direttore generale al Comune di Milano. Ma intanto siamo già al 2010 e non si è ancora neppure deciso come rilevare dai Cabassi e dalla Fiera di Milano i terreni scelti per l'evento. Ancora imprecisi anche i contorni di qullo che dovrà essere il progetto finale. Le cose non migliorano neppure con l'arrivo, nel maggio 2011, del nuovo sindaco, Giuliano Pisapia, anche perché la gestione dell'affare rimane soprattutto nelle mani della Regione guidata da Roberto Formigoni. Si arriva al 2012 e già scatta l'emergenza.

L'idea di "orto planetario" concepita da Stefano Boeri, assessore comunale con delega all'esposizione, viene scartata: troppo poco appetibile per i Paesi espositori, si dice. E poi: troppo poco cemento con cui far quadrare i conti. Si risolve il problema comprando a 160 milioni di euro, da Cabassi e Fiera, terreni che erano agricoli. I lavori veri non sono ancora partiti, ma i tempi stretti sono una buona giustificazione per l'assegnazione diretta di molti appalti.

Quello più grosso, da 272 milioni, è la realizzazione della cosiddetta "piastra", complessa infrastruttura su cui dovranno essere costruiti i padiglioni. La gara è gestita da Infrastrutture lombarde, riserva formigoniana. Favorita Impregilo, vince a sorpresa la Mantovani (in che modo, è oggetto d'indagine della procura). A settembre 2012, Sala dichiara: "Le aree sono state consegnate alla Mantovani per la realizzazione della piastra.

La tempistica che ci hanno assicurato è di 600 giorni di lavoro". Nel 2012 e nel 2013, mentre i pochi lavori in corso sul sito da 1,1 milioni di metri quadrati procedono lentamente, si cominciano a indebolire le procedure antimafia. Un processo di alleggerimento delle "linee guida" anticriminalità che aumenterà progressivamente. Fino al 5 maggio scorso, quando si decide di alzare da 50 mila a 100 mila euro la soglia che fa scattare i controlli più severi.

ALTRO CHE CONTROLLI ANTIMAFIA: 50 MILIONI DATI SENZA GARA
Nel frattempo ci si dà un gran daffare per distribuire una cinquantina di milioni, per lo più senza gara aperta, in servizi collaterali, in gran parte marketing, pubblicità, comunicazione, e finanziamenti ai maggiori giornali. L'appalto per il software che avrebbe dovuto agevolare la mole di controlli antimafia necessari per vagliare le centinaia di aziende che saranno al lavoro sul sito è assegnato, senza gara, a un'azienda decotta del giro Compagnia delle Opere.

Dopo qualche la società finisce in liquidazione, risultato: il software ancora oggi non c'è. Del resto ormai non serve, visto che per i controlli non c'è più tempo. Il 13 gennaio 2013 in Prefettura si decide di semplificare ulteriormente le procedure: le verifiche saranno limitate all'autocertificazione di proprietari, amministratori e procuratori, come suggerito dal ministero guidato da Angelino Alfano.

La legalità è un lusso che non ci si può più permettere. Emblematico è proprio il caso della Mantovani, definita dalla magistratura "gruppo economico criminale": l'emissione di un eventuale provvedimento interdittivo, che la allontanasse dai cantieri, ora sancirebbe la fine dell'Expo. Lo stesso vale per la Maltauro, che dovrebbe fare le "architetture di servizio" (edifici accessori, punti di ristoro, servizi igienici e via dicendo).

Ormai è chiaro anche il fatto che la gran parte delle infrastrutture inserite nel dossier con cui Milano aveva vinto la gara internazionale non si faranno. Non si finirà l'autostrada Pedemontana, a corto di soldi, nè altre opere stradali pensate per agevolare, oltre alle imprese degli amici, lo spostamento dei 20 milioni di visitatori ottimisticamente stimati.

Non si faranno in tempo - e forse mai - le linee 4 e 6 della metropolitana. L'alta velocità non arriverà a Malpensa. Non sarà potenziata la ferrovia Rho-Gallarate. Le vecchie cascine milanesi, che avrebbero dovuto accogliere frotte di entusiasti turisti planetari, resteranno per lo più dei ruderi.

GRU IMMOBILI E SILENZIO
Lo scorso 15 marzo, Jolanda Nanni, consigliere regionale del Movimento 5 stelle, è andata con una delegazione di politici a visitare il sito Expo. Percorso blindato, vietato scendere dal pullman. La sua impressione: "Qualche gru immobile, sparsa in uno spazio immenso, pochi operai, il ricordo più forte è il silenzio". Questa è l'attività che avrebbe dovuto portare, in 600 giorni, alla conclusione delle opere.

I tentativi di fare miracoli, in una corsa contro il tempo, riguardano ora tutti gli impegni del programma pubblicato dalla stessa società Expo sul suo sito. Gli arresti di giovedì non hanno fatto che aggravare la precarietà della situazione. A oggi, non è iniziata la costruzione dei padiglione dei paesi ospiti, nonostante a metà dicembre siano stati consegnati simbolicamente i lotti; nessuna opera in muratura per il palazzo Italia, l'unico destinato a rimanere dopo l'evento; sono ancora da rimuovere gran parte delle cosiddette "interferenze" (fossi, edifici, tubature, viadotti); nulla dell'annunciata piantumazione di migliaia di alberi.

E probabilmente non si faranno le contestate Vie d'acqua, che dovevano far rifluire l'acqua dai canali e dal lago artificiale del sito devastando tre parchi cittadini, al costo di 90 milioni. Mercoledì scorso il consiglio di amministrazione di Expo aveva annunciato l'interramento del corso d'acqua sotto i parchi. Ma l'amministratore della società che ha vinto l'appalto, la Maltauro, ora è finito agli arresti.

Forse non è un caso che dei 140 paesi attesi, per ora abbiano firmato solo in 103. La Svizzera è stata la prima a firmare, nel 2010, per un padiglione di oltre 4 mila metri quadrati e 10 milioni di franchi d'investimento: cinque torri cariche di prodotti alimentari che i visitatori potranno portare via. Dicono al consolato elvetico: "Stiamo definendo la timetable con Expo, appena avremo l'ok al progetto potremo partire con la costruzione".

Sul loro house organ sono meno diplomatici: "L'enorme sagoma del cantiere a forma di pesce, oggi, assomiglia piuttosto a una balena spiaggiata. Tra lavori rallentati e arresti, il rischio è quello di non arrivare preparati all'appuntamento del primo maggio 2015". Dalla società Expo fioccano assicurazioni che con i nuovi turni di lavoro, venti ore al giorno, sabati e domeniche compresi, si farà in tempo .

Ma il maggior problema a questo punto non è che cosa si riuscirà a fare, ma come le cose saranno fatte. Dice Antonio Lareno, responsabile del Progetto Expo per la Cgil: "L'accelerazione esasperata pone prima di tutto un problema di sicurezza. Oltre ai controlli antimafia, si alleggeriscono collaudi, certificazioni, vigilanza antinfortunistica". Quello dei lavoratori è ovviamente il primo cruccio del sindacato.

"A regime sul sito ci saranno più di 100 cantieri e oltre 4 mila lavoratori, in buona parte stranieri, reclutati in tutta fretta", dice Lareno, "con lavorazioni multiple, anche la notte alla luce delle torce: è evidente che la sicurezza diventa critica. Le Olimpiadi di Torino nel 2006 sono costate cinque morti. L'Inail , l'Istituto nazionale per la sicurezza contro gli infortuni, ha fatto un calcolo, pura statistica: per un evento come Expo si rischiano 20 mila infortuni e 40 morti sul lavoro".

Altro aspetto problematico, la sicurezza durante l'esposizione. "Solo per dirne una, la commessa per la sorveglianza non è stata ancora affidata", spiega il sindacalista, "non si sa come farla. Il sito è stato assimilato a un aeroporto, ma come si fa a far passare dagli scanner 20 milioni di persone? E si consideri che l'evento, essendo dedicato al cibo, ha un consistente rischio biologico e igienico. Non è come una fiera del mobile". Expo 2015, l'evento che doveva rilanciare Milano e l'immagine e l'economia italiana, si è trasformato in un grosso incubo.

 

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