belpietro marchionne

UNO, NESSUNO, CENTOMILA MARCHIONNE – BELPIETRO: "C’E’ CHI LO BEATIFICA E CHI LO INSULTA MA NESSUNO HA CAPITO L’EX CAPO FCA: NON ERA UN MANAGER E NON E’ MAI STATO UN CONOSCITORE DEL MONDO DELLE AUTO MA E’ STATO UN FUNAMBOLO CHE HA GIOCATO CON I SOLDI, LE BANCHE, LE RELAZIONI" - ECCO QUALE ERA IL PROGETTO SEGRETO DEL "GRANDE GIOCOLIERE"

SERGIO MARCHIONNE

Maurizio Belpietro per la Verità

 

Il giorno dopo che la malattia lo ha costretto a uscire di scena, Sergio Marchionne è stato beatificato a mezzo stampa. Colui che fino a ieri era criticato per aver decentrato all' estero e produzioni chiudendo Termini Imerese, aver spostato la sede legale (e dunque fiscale) fuori dall' Italia, aver imposto un contratto aziendale disconoscendo quello nazionale, aver sbagliato molte previsioni, all' improvviso è diventato un manager straordinario. Anzi: il Manager.

 

La realtà è che Sergio Marchionne non era un manager, ma un controller, cioè uno che avrebbe dovuto verificare il lavoro di altri manager. Per una serie di circostanze straordinarie poi fu messo alla guida di un gruppo che non era fallito, ma la cui azienda principale, Fiat auto, se non rimessa in carreggiata avrebbe fatto fallire sotto una montagna di debiti anche tutto il resto.

LA VERITA BELPIETRO

 

Marchionne si trovò tra le mani il destino di una multinazionale tascabile che da tempo aveva innestato la retromarcia. Una fabbrica di automobili che non aveva automobili nuove in produzione e nemmeno le aveva progettate. Così, senza sapere nulla o quasi di auto e poco e niente della concorrenza si mise al volante. Dalla sua però aveva alcune carte da giocare. Conosceva meglio di altri i numeri ed era abituato a scovare tra le pieghe dei bilanci i problemi.

 

Un vantaggio che sfruttò soprattutto quando dovette negoziare l' uscita di scena di Gm dal capitale della Fiat, una trattativa che egli concluse portandosi a casa un pacco di miliardi mentre avrebbe dovuto essere lui a versarli. L' astuzia sui conti gli consentì anche di sfruttare a proprio favore, e a favore degli azionisti, la crisi della Chrysler. I tedeschi della Daimler avevano speso un mucchio di soldi nel tentativo di farla diventare un moderno gruppo automobilistico e non un carrozzone di marchi più o meno fuori mercato. Ma alla fine, dopo dieci anni, furono costretti a gettare la spugna, travolti dai risultati negativi.

SERGIO MARCHIONNE

 

La fortuna, per Marchionne, volle che in quel momento alla Casa Bianca fosse appena arrivato Barack Obama e che il neo presidente non potesse cominciare il mandato assistendo impotente alla chiusura delle fabbriche automobilistiche del gruppo. Obama non aveva il problema degli aiuti di stato che avrebbe avuto un qualsiasi politico europeo, costretto a rispettare le assurde regole di Bruxelles. No, il presidente Usa mise mano al portafogli, sperando che qualcuno si facesse avanti. E un uomo scaltro, con un' azienda che faceva fatica a trovare la strada per uscire dalla crisi, capì che quella poteva essere un' opportunità. Ha scritto bene Marco Cobianchi nel libro in cui ha analizzato la strategia di Marchionne (American Dream): non è la Fiat che ha comprato la Chrysler, ma Obama che ha comprato la Fiat.

 

SERGIO MARCHIONNE

Con i soldi americani (e anche la tecnologia che nella Chrysler avevano messo i tedeschi), Marchionne ha fatto il miracolo. Tuttavia, anche se ha guidato per 14 anni un gruppo automobilistico, l' uomo che oggi giace in un letto d' ospedale a Zurigo non è mai stato un manager dell' automobile. Prova ne sia che ha fatto e disfatto piani industriali (otto in totale), senza azzeccarne mai neanche uno. Marchionne è stato un grande funambolo, un uomo che ha giocato con i soldi, le banche, le relazioni. Ha scomposto e ricomposto il gruppo, quotando ciò che già era di proprietà della Fiat e moltiplicandone il valore.

 

Riccardo Ruggeri, che la Fiat la conosce come le sue tasche essendone stato un manager tra i più importanti, ha scritto in un Cameo che l' ad di Fca è il più grande deal maker del mondo dell' automobile.

 

SERGIO MARCHIONNE

Che cos' è un deal maker? Cedo la parola allo stesso Ruggeri, che per spiegarlo ha usato un paragone artistico. «Se un manager è un pittore, perché aggiunge materiale sulla tela bianca, il deal maker è uno scultore, in quanto crea un' opera d' arte togliendo materiale da un blocco di marmo».

 

Marchionne ha via via scorporato dal blocco Fiat il materiale della Case New Holland e dell' Iveco (Cnh global), e della Ferrari e ora si apprestava a fare lo stesso con la Marelli e con Comau. Un gioco di prestigio che ha creato valore per gli azionisti, facendo crescere con questo spezzatino le quotazioni di oltre sei volte. Per dirla con Ruggeri: uno scultore sommo.

 

Ma a fronte di questa straordinaria capacità creativa esiste il rovescio della medaglia.

Ossia una Fca che comunque resta piccola rispetto ai concorrenti, che non ha macchine elettriche e neppure ibride e dunque nel futuro non potrà che arrivare fra gli ultimi. Il gruppo vende quasi cinque milioni di automobili in un mercato dove i concorrenti ne vendono 12 milioni, ma di quei cinque milioni di pezzi la parte più profittevole è quella con il marchio Jeep, perché lì i soldi di Obama sono serviti. In Italia, al contrario, i profitti sono scarsi e gli stabilimenti poco strategici.

 

SERGIO MARCHIONNE

Probabilmente il grande giocoliere aveva in mente, una volta fatto crescere il valore, di vendere tutto, magari ai cinesi. E però l' uscita di scena di Obama e l' arrivo di Trump ha cambiato tutto. Il nuovo presidente, colui che mette i dazi e fa la guerra commerciale alla Cina e anche all' Europa, mai accetterebbe che un pezzo del mercato automobilistico americano finisse in mano a qualcuno eterodiretto da Pechino.

 

Marchionne forse pensava di rivolgersi ai sudcoreani, più graditi da Trump, e per questo si è fatto il nome della Hyundai. Lo scultore sommo probabilmente si sarebbe inventato un azzardo dei suoi, ma purtroppo la malattia è arrivata prima e il futuro del gruppo è passato di mano. Toccherà a un inglese trovare la soluzione al rebus e dovrà trovarla in fretta, perché se c' è una qualità che ha aiutato il grande giocatore di poker a non perdere mai una mano è stata la velocità.

 

Fra le tante banalità di questi giorni ho letto che Marchionne era un globalista, mentre secondo altri era un neo protezionista. Qualche sindacalista ha scritto che era amico dei lavoratori e nemico dell' Italia corporativa, mentre altri lo hanno accusato di aver salvato gli Agnelli, ma non gli operai, ricoprendolo di insulti. Tuttavia c' è chi gli vorrebbe costruire un monumento. Non so se la statua sia la cosa migliore per ricordarlo. Forse la cosa migliore sarebbe capirlo e, soprattutto, impararne la lezione. Nelle aziende la flessibilità non è solo quella che si applica ai dipendenti, ma soprattutto quella che mettono in campo i manager che si adattano al futuro. Che non è né bello né roseo, è solo in continua evoluzione.

SERGIO MARCHIONNE

 

 

 

Ultimi Dagoreport

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - COSA FRULLAVA NELLA TESTA TIRATA A LUCIDO DI ANDREA ORCEL QUANDO STAMATTINA ALL’ASSEMBLEA GENERALI HA DECISO IL VOTO DI UNICREDIT A FAVORE DELLA LISTA CALTAGIRONE? LE MANGANELLATE ROMANE RICEVUTE PER L’OPS SU BPM, L’HANNO PIEGATO AL POTERE DEI PALAZZI ROMANI? NOOO, PIU' PROBABILE CHE SIA ANDATA COSÌ: UNA VOLTA CHE ERA SICURA ANCHE SENZA UNICREDIT, LA VITTORIA DELLA LISTA MEDIOBANCA, ORCEL HA PENSATO BENE CHE ERA DA IDIOTA SPRECARE IL SUO “PACCHETTO”: MEJO GIRARLO ALLA LISTA DI CALTARICCONE E OTTENERE IN CAMBIO UN PROFICUO BONUS PER UNA FUTURA PARTNERSHIP IN GENERALI - UNA VOLTA ESPUGNATA MEDIOBANCA COL SUO 13% DI GENERALI, GIUNTI A TRIESTE L’82ENNE IMPRENDITORE COL SUO "COMPARE" MILLERI AL GUINZAGLIO, DOVE ANDRANNO SENZA UN PARTNER FINANZIARIO-BANCARIO, BEN STIMATO DAI FONDI INTERNAZIONALI? SU, AL DI FUORI DEL RACCORDO ANULARE, CHI LO CONOSCE ‘STO CALTAGIRONE? – UN VASTO PROGRAMMA QUELLO DI ORCEL CHE DOMANI DOVRA' FARE I CONTI CON I PIANI DELLA PRIMA BANCA D'ITALIA, INTESA-SANPAOLO…

donald trump ursula von der leyen giorgia meloni

DAGOREPORT - UN FACCIA A FACCIA INFORMALE TRA URSULA VON DER LEYEN E DONALD TRUMP, AI FUNERALI DI PAPA FRANCESCO, AFFONDEREBBE IL SUPER SUMMIT SOGNATO DA GIORGIA MELONI - LA PREMIER IMMAGINAVA DI TRONEGGIARE COME MATRONA ROMANA, TRA MAGGIO E GIUGNO, AL TAVOLO DEI NEGOZIATI USA-UE CELEBRATA DAI MEDIA DI TUTTO IL MONDO. SE COSÌ NON FOSSE, IL SUO RUOLO INTERNAZIONALE DI “GRANDE TESSITRICE” FINIREBBE NEL CASSETTO, SVELANDO IL NULLA COSMICO DIETRO AL VIAGGIO ALLA CASA BIANCA DELLA SCORSA SETTIMANA (L'UNICO "RISULTATO" È STATA LA PROMESSA DI TRUMP DI UN VERTICE CON URSULA, SENZA DATA) - MACRON-MERZ-TUSK-SANCHEZ NON VOGLIONO ASSOLUTAMENTE LA MELONI NEL RUOLO DI MEDIATRICE, PERCHÉ NON CONSIDERANO ASSOLUTAMENTE EQUIDISTANTE "LA FANTASTICA LEADER CHE HA ASSALTATO L'EUROPA" (COPY TRUMP)...

pasquale striano dossier top secret

FLASH – COM’È STRANO IL CASO STRIANO: È AVVOLTO DA UNA GRANDE PAURA COLLETTIVA. C’È IL TIMORE, NEI PALAZZI E NELLE PROCURE, CHE IL TENENTE DELLA GUARDIA DI FINANZA, AL CENTRO DEL CASO DOSSIER ALLA DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA (MAI SOSPESO E ANCORA IN SERVIZIO), POSSA INIZIARE A “CANTARE” – LA PAURA SERPEGGIA E SEMBRA AVER "CONGELATO" LA PROCURA DI ROMA DIRETTA DA FRANCESCO LO VOI, IL COPASIR E PERSINO LE STESSE FIAMME GIALLE. L’UNICA COSA CERTA È CHE FINCHÉ STRIANO TACE, C’È SPERANZA…