I FURBETTI DEL CALL CENTER - MOLTE SOCIETÀ PRIMA INCASSANO INCENTIVI PUBBLICI IN ITALIA E POI SCAPPANO IN ALBANIA E IN EST EUROPA SFRUTTANDO IL COSTO DEL LAVORO PIÙ BASSO, CON LA COMPLICITÀ DEI COLOSSI DI TLC ED ENERGIA

Stefano Sansonetti per La Notizia (www.lanotiziagiornale.it)

 

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Una giungla in cui il rispetto delle norme è diventato un optional. Incentivi pubblici sfruttati con opportunismo, delocalizzazione selvagge nell’Est europeo, complicità con i colossi telefonici ed energetici e sanzioni che non arrivano mai. Benvenuti nel sempre più complicato mondo dei call center, più che mai fabbrica di polemiche infuocate. Adesso sul settore piove un rapporto choc della Camera, più precisamente la relazione conclusiva di un’indagine conoscitiva sui call center sin qui condotta dalla commissione lavoro presieduta da Cesare Damiano.

 

Nel mirino finiscono innanzitutto gli incentivi pubblici alle assunzioni previsti dalla legge 407 del 1990 che hanno finito col creare “gravi distorsioni nel corretto funzionamento del mercato”. Per non parlare del decreto Crescita dell’allora governo guidato da Mario Monti, che in tema di call center prevede l’assenza di incentivi per chi delocalizza e conseguenti sanzioni per chi viola la norma.

call center call center

 

Ebbene, secondo la commissione lavoro si tratta di una normativa “che finora risulta largamente disattesa”. Parole, se vogliamo, aggravate anche da quanto riferito lo scorso 4 marzo dal ministro per lo sviluppo, Federica Guidi, in risposta un’interrogazione parlamentare: “gli ispettorati territoriali regionali del ministero hanno effettuato controlli a tappeto e hanno accertato diffuse violazioni”.

 

IL QUADRO

Inutile girarci intorno. Ci sono attività connesse al settore dei call center che oggi risultano ampiamente fuori legge. Ma come funziona il perverso meccanismo? Il punto principale è che ormai il mercato è in preda alla delocalizzazione selvaggia, in primis verso l’Albania. Ma tra le mete privilegiate cominciano ad affermarsi anche Romania e Bulgaria. Il motivo è semplice. In questi paesi un dipendente di un’azienda di call center costa un quinto rispetto a quanto accade in Italia. Per questo negli ultimi anni c’è stata una “transumanza”.

 

CALL CENTER OFFERTE CALL CENTER OFFERTE

 La commissione ha certificato una filiera dei furbetti del call center. Più o meno funziona così. Molte aziende di settore prima operano in Italia, sfruttando appieno gli incentivi della legge del ‘90. Parliamo di sgravi contributivi che permettono alle stesse aziende di incassare commesse dai grandi gruppi telefonici ed energetici ai quali offrono prezzi stracciati.

 

E’ come se lo sgravio venisse tradotto in un risparmio per il committente. Una volta concluso il triennio di benefici, però, le aziende vanno in difficoltà e si rifugiano nella cassa integrazione. Così lo Stato paga due volte: l’iniziale incentivo e il successivo sostegno alla disoccupazione. Le stesse imprese, poi, magari si trasferiscono nell’Est europeo per sfruttare il più vantaggioso costo del lavoro. Censire i passaggi e verificare eventuali irregolarità è complicato. Un fatto è certo: in Albania oggi sono attive diverse società, più o meno italiane, che lavorano per grossi clienti che operano nel Belpaese.

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Per esempio c’è Teleperformance Italia, controllata dall’omonimo gruppo francese. C’è la Intercom Data Service, che sul sito si qualifica call center italiano ma ha punti di contatto in Albania. Poi la Albacall che fa capo alla Abramo Holding, in pratica il gruppo del politico di centrodestra Sergio Abramo, attuale sindaco di Catanzaro. Ancora, c’è la Datacontact, sede legale a Matera ma operativa anche in Albania. E la Grid, società di diritto albanese che però tramite la holding Alchimia è riconducibile all’imprenditrice Marina Salamon.

 

I RAPPORTI

maria elena boschi e federica guidimaria elena boschi e federica guidi

Ora, chi sono i committenti di queste società di call center? Basta dare un’occhiata ai loro siti internet. Parliamo di colossi come Telecom, Poste, Enel, Eni, Vodafone, Wind, Sorgenia, Tre, Tiscali, Fastweb, Edison, British Telecom, Sky. Che poi, in base a un comunicato dello stesso ministero dello Sviluppo del 15 gennaio scorso, sono gli stessi committenti che dovrebbero pagare le sanzioni nel caso di violazione dell’art. 24 bis del famoso decreto Crescita.

 

federica guidifederica guidi

E’ la norma che dice che gli incentivi “non  possono  essere erogati ad aziende che delocalizzano attività in Paesi esteri”. E prevede una sanzione da 10 mila euro al giorno per ogni giornata di violazione. La Guidi, in parlamento, ha detto he “le sanzioni che saranno applicate costituiranno un valido deterrente alla delocalizzazione”. Rimane solo da capire che fine abbiano fatto queste sanzioni.

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