PIÙ SPENDI, MENO SPENDI! – IL NOBEL KRUGMAN INSISTE CONTRO IL RIGORE OTTUSO DELL’EURO-ZONA - “LA CRISI IN EUROPA NON È FINITA. L’INGHILTERRA È IN RECESSIONE E IN GRECIA LA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE È AL 60% - GLI SPREAD CALATI SOLO GRAZIE ALLA BCE, MA ORA SONO I POLITICI A RISCHIARE IL COLLASSO SE NON AFFRONTANO IL PROBLEMA DELLA CRESCITA. L’UNICA CHE SI STA RIPRENDENDO È L’AMERICA, CHE NON HA MAI SMESSO DI SPENDERE”…

Paolo Mastrolilli per "La Stampa"

Europa, attenta: «La tua crisi finanziaria si è stabilizzata grazie alla promessa della Bce di comprare i titoli dei Paesi in difficoltà, ma ora rischi il collasso politico, se i governi non affronteranno in fretta l'emergenza della crescita e della disoccupazione». L'avvertimento arriva dal premio Nobel per l'economia Paul Krugman, mentre risponde alle domande del pubblico venuto a sentirlo all'organizzazione culturale 92Y di Manhattan.

Dai recenti incontri di Davos è uscito un messaggio relativamente incoraggiante, sulla stabilizzazione della crisi. Lei è d'accordo?

«Per gli Stati Uniti sì, per l'Europa meno. Cominciamo col dire che questa è stata una crisi Nord-Atlantica, nel senso che si è sviluppata a cavallo tra i due continenti, con modalità abbastanza simili: bolla edilizia, banchieri poco responsabili, depressione. Negli Usa adesso ci sono segnali di ripresa concreti, dovuti probabilmente al naturale ciclo economico, e al fatto che il governo non ha combinato troppi guai.

L'indebitamento delle famiglie è sceso e il settore edilizio ha rallentato molto, ma nel frattempo la popolazione ha continuato a crescere, e quindi ora ci troviamo con una situazione di carenza nel campo abitativo. Sono passati cinque anni, ormai, dall'inizio della depressione: il nostro settore bancario è stato risanato, le aziende siedono su enormi profitti che non investono, e anche Wall Street celebra. Ci sono gli elementi per la ripresa, anche se la situazione resta molto dura, soprattutto per i quattro milioni di persone disoccupate da oltre un anno».

E in Europa?

«E' diverso. Il settore finanziario si è stabilizzato, e gli interessi stellari che venivano pagati da alcuni Paesi sui propri titoli di stato sono effettivamente scesi. Questo è accaduto soprattutto perché la Banca centrale europea ha detto chiaramente che avrebbe comprato i bond di tali Paesi in difficoltà, se fosse stato necessario. Il problema, però, è che questi progressi non si sono ancora trasmessi all'economia reale, dove la sofferenza resta elevata. In Paesi come la Grecia la disoccupazione giovanile è al 60%: cosa succederà, quando il sistema politico arriverà al collasso? Questa è la domanda fondamentale da porsi, cioè quanto a lungo si può tenere una situazione del genere».

Quale soluzione suggerisce?

«La Gran Bretagna ha scelto la via dell'austerità, e sta scivolando di nuovo nella recessione. Gli Stati Uniti, per fortuna, hanno resistito alle pressioni che chiedevano forti tagli alla spesa, e sono in fase di ripresa».

I pericoli del "fiscal cliff" e del debito sono superati?

«Devo ammettere che su questo punto ho sbagliato, perché credevo che i repubblicani fossero abbastanza folli da spingere il Paese nel baratro. Per questo avevo proposto al governo di coniare una moneta di platino da un trilione di dollari, cosa che può legalmente fare, e usarla per stampare moneta con cui pagare i suoi conti. Non è servito, perché i repubblicani hanno fatto marcia indietro, e se non hanno scelto la strada del collasso ora, è difficile che lo facciano tra qualche mese».

Una scelta che molti liberal rimproverano a Obama è stata quella di aver investito molti soldi per salvare le banche. Condivide questa critica?

«Salvare il sistema finanziario era necessario, anche se io avrei nazionalizzato un paio di banche, tipo Citigroup. Nello stesso tempo, però, bisognava avviare programmi per sostenere la gente, ad esempio i sottoscrittori onesti di mutui che non riuscivano più a pagare. C'erano i soldi, ma non è stato fatto per due motivi: la convinzione che bastasse salvare le banche, e il timore di aiutare persone che non lo meritavano».

Lei ha criticato il governo americano, e anche quelli europei, per non aver adottato stimoli più forti per la crescita.

«In un momento di crisi come questo, non c'era altro da fare: bisognava anche stampare più moneta, perché tanto con i tassi a zero sarebbe stato facile risalire e bloccare l'eventuale inflazione. Ho criticato anche il mio ex collega di Princeton Bernanke, perché alla Fed non ha fatto quello che predicava come professore, ma ho capito che si è trovato davanti ad ostacoli politici enormi, e in fondo ora è l'unico che sta prendendo sul serio la lotta alla disoccupazione».

Dunque questi stimoli, come l'acquisto di titoli che la Fed sta facendo ormai da mesi, andrebbero estesi anche all'Europa. Ma fino a quando?

«Fino al ritorno della piena occupazione, in teoria. O comunque fino a quando la disoccupazione non sarà scesa sotto la soglia strutturale precedente alla crisi».

 

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