“L’ECONOMIA AMERICANA HA RETTO A LUNGO E BENE, MA LE CREPE COMINCIANO A ESSERE EVIDENTI” – IL PREMIO NOBEL PAUL KRUGMAN ANALIZZA LA “PRE-RECESSIONE” NEGLI STATI UNITI, E ACCUSA LA FED DI NON AVER FATTO ABBASTANZA, MANTENENDO ALTI I TASSI DI INTERESSE: “HA COMMESSO UN ERRORE” – IL RISCHIO “POLITICO”: “SE A SETTEMBRE LA FED TAGLIERÀ I TASSI, SI TROVERÀ AD AFFRONTARE UN FUOCO DI FILA DI CRITICHE DA PARTE DEI REPUBBLICANI, MA…”
Estratto dell’articolo di Paul Krugman per “The New York Times” pubblicato da “la Stampa”
[…] Gli Stati Uniti probabilmente (e sottolineo probabilmente) non sono ancora entrati in recessione. L'economia però appare decisamente in pre-recessione. I policymaker - in sostanza al momento la Federal Reserve - devono intervenire subito per scongiurare i rischi di un grave declino economico.
Una cosa è chiara già adesso: alla fine di luglio, quando non ha tagliato i tassi, la Fed ha commesso un errore. In verità, probabilmente avrebbe dovuto iniziare a farlo mesi fa. Purtroppo, non si possono far tornare indietro le lancette dell'orologio. Di sicuro, comunque, l'Open Market Committee della Fed, che fissa i tassi di interesse a breve termine, può e dovrebbe intervenire con un taglio consistente […] alla sua prossima riunione programmata a metà settembre.
A noi non resta che sperare che il recente calo dei tassi di interesse a lungo termine, che riflette le aspettative di futuri tagli della Fed, sia sufficiente a scongiurare una crisi economica immotivata.
Perché dico che l'economia sembra in pre-recessione? Il fattore più importante è il tasso di disoccupazione, che nel corso degli ultimi mesi è andato gradualmente aumentando. Il rapporto sull'occupazione dei primi di agosto ha attivato la Regola di Sahm, secondo cui un aumento abbastanza consistente del tasso di disoccupazione è un indicatore importante dell'inizio di una recessione economica.
Molti studiosi di economia, compresa Claudia Sahm che ha articolato questa regola, credono che per una molteplicità di motivi tecnici le cose potrebbero non essere così cupe come sembrano. Anche così, però, la situazione è inquietante.
Non si tratta soltanto dei dati ufficiali. Rilevamenti indipendenti e voci che circolano indicano anch'esse un'economia in frenata. La valutazione del mercato del lavoro da parte dei consumatori intervistati da Conference Board è peggiorata, Amazon ha avvisato che i consumatori sembrano essere guardinghi, e così via.
Niente di tutto questo sta a segnalare indiscutibilmente l'incombere di una recessione, ma in ogni caso tutto questo indica un maggior rischio di recessione economica nell'immediato futuro.
Sono sicuro al cento per cento che avremo una recessione se la Fed non interverrà rapidamente per tagliare i tassi? Naturalmente no. Niente è sicuro in economia, né nella vita, più in generale. Di sicuro, comunque, i policymaker che aspettano di essere assolutamente sicuri prima di fare qualcosa agiranno sempre troppo tardi.
Insomma, come siamo arrivati a questo punto? In reazione all'aumento dell'inflazione del 2021-2022, la Fed ha aumentato molto i tassi di interesse. […] Non penso che la Fed avesse altra scelta, tenuto conto del rischio percepito che l'inflazione potesse diventare endemica nell'economia, come era accaduto negli anni Settanta.
Nella seconda metà del 2023, però, è diventato ovvio che i timori di un ritorno a quello scenario degli anni Settanta erano fuori luogo; l'inflazione stava rallentando in modo costante, senza anni di alta disoccupazione che alcuni economisti affermavano erroneamente essere necessari.
elissa leonard jerome powell cena di gala alla casa bianca
La Fed, però, non ha reagito all'inflazione in calo con un taglio dei tassi di interesse, apparentemente perché non intenzionata a intervenire prima di essere assolutamente sicura che l'inflazione fosse ritornata al suo target. […]
In un certo senso, la Fed può essere stata vittima di un falso statistico: le cifre ufficiali hanno evidenziato un'inflazione mensile in rialzo all'inizio del 2024 ma, come ho scritto all'epoca, sembrava trattarsi di una discrepanza nei dati, più che di qualcosa di concretamente accaduto.
Oltre a ciò, comunque, è difficile sfuggire alla sensazione che la Fed sia stata paralizzata, in certa qual misura, da un disturbo post traumatico da stress dell'inflazione. Avendo dovuto affrontare forti critiche per essersi mossa troppo lentamente per alzare i tassi quando l'inflazione ha iniziato a salire alcuni anni fa, la Fed può aver compensato evitando di tagliare i tassi quando l'inflazione ha iniziato a diminuire. La nostra economia ha retto a lungo incredibilmente bene, nonostante tassi di interesse molto alti; adesso, però, le crepe cominciano a essere evidenti.
Particolarmente irritante nella situazione attuale è il fatto che potremmo essere in procinto di strappare una sconfitta dalle fauci della vittoria. In questo preciso momento, l'America in sostanza ha raggiunto quello che molti economisti consideravano impossibile: un soft landing, un atterraggio morbido nel quale siamo riusciti ad avere un'inflazione in calo senza una disoccupazione alta. Nondimeno, siamo sempre più a rischio di andare incontro a molte sofferenze inutili soltanto perché il pilota ha atteso troppo a lungo prima di tirare la cloche.
LA FEDERAL RESERVE BANK DI NEW YORK
Ancora una cosa: se a settembre la Fed taglierà i tassi, probabilmente si troverà ad affrontare un fuoco di fila di critiche da parte dei repubblicani che l'accuseranno di voler aiutare Kamala Harris a sconfiggere Donald Trump nelle elezioni per la presidenza. Ebbene sì, un taglio degli interessi probabilmente aiuterebbe i democratici, in buona parte perché farebbe capire quanto l'America sia riuscita a mettere con successo sotto controllo l'inflazione.
La politica, in ogni caso, non dovrebbe influenzare la decisione della Fed, e io spero proprio che non lo faccia. Difatti, le motivazioni economiche per procedere a sostanziosi tagli dei tassi sono inconfutabili. La Fed agirebbe politicamente se non reagisse a quelle motivazioni economiche soltanto perché le elezioni sono imminenti.