MA QUALE SUPERPOTENZA GLOBALE, ANCHE IL DRAGONE ENTRA IN CRISI: L’INDUSTRIA CROLLA

Rita Fatiguso per "Il Sole 24 Ore"

L'industria cinese è l'architrave dell'economia mondiale. Prova ne è che se l'indice Pmi va sotto per la prima volta in sette mesi le borse, inevitabilmente, crollano. In Cina rallenta anche l'ottimismo e l'idea di una crescita del 7,5 garantita dai nuovi vertici politici sarebbe comunque la più bassa in 23 anni.

Gli ordini non arrivano come dovrebbero (sono a 49,5, il valore più basso da settembre 2012) né dagli Stati Uniti in letargo né dall'Europa in piena crisi da debito sovrano e con l'euro a pezzi. A maggio anche Taiwan e Corea del Sud sono sembrate meno attive.

Altro che soft landing, l'industria frena e crea un problema in più alla Cina, ai suoi vertici e al mondo intero. Per un Paese ancora legato all'export in affanno, la mancanza di un valido contrappeso nel mercato interno può risultare fatale. Le follie per l'ultima borsetta Gucci must-to-have sono puro colore. In Cina si risparmia e non si compra, l'incertezza del futuro è forte.

Ma l'indice Pmi in frenata è l'effetto e non la causa di una serie di problemi a monte, visibili a tutti o quasi i cinesi: il costo del lavoro che viaggia a due cifre, l'esercito di quei sette milioni di debuttanti sul mercato del lavoro che si ritrovano senza troppe certezze di trovare un lavoro soddisfacente, allo yuan che si apprezza sempre più sul dollaro (ha raggiunto infatti quota 6.1904 mercoledì scorso, la più alta dal 2005), all'inflazione ovvero l'incubo peggiore che nessuno vuole vivere.

Nella Capitale l'uomo della strada si preoccupa anche solo dell'aumento di pochi yuan alla corsa base in taxi. Me you qien, non ci sono soldi, è un refrain continuo.

Ma se cadono anche i prezzi delle materie prime gli investitori si chiedono se la Cina merita o no di mantenere il suo rating, insomma se le prospettive di crescita non debbano essere riaggiustate verso il basso. Così UBS ha declassato la crescita 2013 a 7.7 dall'8%, Société Générale sembra volerne seguirne le mosse. Bank of America-Merrill Lynch ha tagliato le prospettive agli inizi del mese del 7.6 dall'8 per cento.

Nel primo trimestre del 2013 il 67% delle grandi imprese ha disatteso le aspettative. Le aziende statali soffrono di più, ma anche grandi gruppi privati segnano il passo. Giganti come Zoomlion (in Italia ha acquistato le betoniere Cifa) segnano il passo, colossi dell'energia come Zte sperano di fare margini che per il momento non si intravvedono.

E non ci sono soldi, come nel 2008, per arginare il controesodo di venti milioni di immigrati con un pacchetto di stimolo da 40 trilioni di yuen. Il Governo sta tagliando le spese non necessarie. Una spending review amara per un Paese che ha viaggiato per vent'anni a cifra doppia.

E dall'Europa, non bastasse, arrivano attacchi di tutti i tipi: sono le guerre commerciali a preoccuparci, ha detto di recente l'ambasciatore della Repubblica popolare cinese al Wto, e così è e sarà. Ogni giorno c'è una questione di questo tipo da analizzare e rintuzzare, specie in settori ad alto valore aggiunto.

Il solare è a pezzi, con grandi colossi ridotti male, perché non sono più profittevoli come un tempo. I dazi sulle piastrelle cinesi stanno innescando un repulisti micidiale nella maggior potenza mondiale del settore con perdite di posti di lavoro.

I magnati del real estate al momento giusto vendono interi lotti ancora da costruire e investono il ricavato in fondi di investimento a Shanghai per metterli al riparo dal Fisco.
E dulcis in fundo la Commissione europea ha appena chiesto agli Stati membri un mandato per negoziare con la Cina un trattato sugli investimenti. Servirà, dice Bruxelles, a dare impulso alla liberalizzazione delle condizioni per accedere ai rispettivi mercati. Ma Pechino ha ben altro a cui pensare.

 

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