SAN RAFFAELE, FACOLTÀ DI (PRENDERLA CON) FILOSOFIA - E SE L’UNIVERSITÀ DEGLI EX MARXISTI FINISSE A PRENDER ORDINI DAL CARDINAL BERTONE? - CON IL RISCHIO FALLIMENTO DELLA FONDAZIONE-CASSAFORTE SI POTREBBE PROFILARE UNA SVOLTA CLERICALE - DON CACCIARI: “DA DON VERZÈ LIBERTÀ TOTALE CHE NON AVREI AVUTO SE MI FOSSI TROVATO DI FRONTE FERRARA, PERA, LA GELMINI E IL 90% DEI LAICI CHE CONOSCO”…

Enrico Arosio per "l'Espresso"

Risanamento, salvataggio, fallimento pilotato. I professori di filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele hanno dovuto aggiungere al loro lessico familiare (metafisica, ontologia, logica...) nuove parole, e non le più simpatiche. Incombe come nube la crisi della Fondazione, fulcro finanziario del sistema San Raffaele ideato, costruito e (mal) gestito dal carismatico don Luigi Verzè, con un buco patrimoniale di oltre 200 milioni e un miliardo e mezzo di debiti: c'è da innervosire anche chi legge in tedesco a colazione la "Phänomenologie des Geistes" di Georg Wilhelm Friedrich Hegel.

Comprensibile. Il cambio di governance, poi, con l'ingresso della Fondazione, e quindi anche della facoltà di Filosofia, nell'orbita vaticana (la banca Ior, l'imprenditore Vittorio Malacalza, vicino al cardinal Bertone segretario di Stato del papa) aggiunge interrogativi: sull'assetto futuro di una università laica, sulle sue linee culturali e didattiche.

Saranno liberi come prima gli insegnamenti, dalla bioetica alla storia? "Il Foglio" di Giuliano Ferrara, giornale vispo che ama provocare, già semina gioia maligna: che faranno gli arditi teoreti, gli scientisti, gli atei radunati dal Barbudo Cacciari che han goduto la bella vita sotto l'aureola di don Verzè?

Finora è in atto una riflessione interna: con una lettera ai docenti inviata dalla filosofa Roberta De Monticelli e dal medico Ruggero Pardi a difesa del principio di "eccellenza e libertà" in un ateneo di punta, nato per integrare, nello studio della persona, "soma, psiche e spiritualità". È un documento di orgogliosa appartenenza che, nel finale, si prepara a un cambio di rettore, dal fondatore Verzè (di cui ricorda "carisma e visibilità") a un nuovo garante fornito del necessario prestigio accademico. Certo, gli sfottò del "Foglio" urtano. Ma "l'Espresso" ha raccolto tra i filosofi, che appartengono alla crème del pensiero teoretico italiano, vivaci rinvii al mittente e appassionate autodifese.

"Pure idiozie", risponde Massimo Caccciari davanti a chi sostiene: finirete, anche voi laiconi ed ex marxisti, per obbedire al cardinal Bertone. "Quando ho costruito la facoltà ho avuto da don Verzè carta bianca, e da allora godiamo di libertà totale. Libertà, anche nella scelta dei docenti, che non avrei avuto se mi fossi trovato di fronte Ferrara, Marcello Pera o il ministro Gelmini, o il 90 per cento dei laici che conosco". Timori per gli sviluppi, però, non si possono escludere.

"Io non ne ho. La distinzione tra Fondazione e Università è chiara. Solo un imbecille interverrebbe a modificare i livelli di eccellenza scientifica garantiti dalle facoltà di Filosofia, Medicina, Psicologia. Perderebbe faccia e denaro". Cacciari, fondatore ma non più preside (è l'epistemologo Michele Di Francesco), quest'anno insegnerà solo nel primo semestre, poi vorrebbe dedicarsi a un libro che da tempo prepara per Adelphi.

Impegni confermati per Roberta De Monticelli, ordinario di filosofia della persona, in cattedra dal 2003, arrivata da Ginevra. Lei ignora le provocazioni del "Foglio", che a fine agosto la punzecchiava così: "Dare l'addio alla Chiesa cattolica senza lasciare l'incarico all'Università di don Verzè è ovviamente un conflitto d'interesse". Ovvietà che lei non rileva: "Non ho letto queste cose".

E ribatte: "Il nostro statuto ci definisce come università laica. E allo stato nessuno l'ha messo in questione, né mi aspetto che accada. La libertà è l'altra faccia della ricerca, in campo scientifico e in quello umanistico. Io ho preso posizioni anche dure su certe uscite pubbliche di don Verzè, e mai ne ho avuto un danno. Pluralismo e libertà sono la cifra di questo istituto, di cui siamo orgogliosi. Solo se venisse meno questo assetto ne trarrei le conseguenze".

La facoltà di Filosofia è un indirizzo di punta. Accoglie docenti di riconosciuto prestigio, tra i professori di ruolo (dallo storico Andrea Tagliapietra a Claudia Bianchi per la filosofia del linguaggio) come tra i docenti a contratto, dove spiccano Emanuele Severino, Vincenzo Vitiello, Salvatore Natoli, epistemologi, scienziati, logici, teologi come Vito Mancuso, politologi alla Angelo Panebianco, studiosi di altre religioni. In una convivenza tra laici, cristiani e non cristiani, e tra diverse sensibilità politiche, che non può non colpire. Quest'autunno le iscrizioni sono in lieve calo, rispetto al solito numero di 60-80 (dimensioni da istituto di élite). I timori sul fallimento della Fondazione non aiutano, ma la facoltà, a quanto risulta, ha i conti in ordine.

C'è chi rifiuta di commentare, come Vito Mancuso: "È tutto prematuro". E chi sfodera una grinta leonina, come Massimo Donà, allievo di Severino e Cacciari, cattedra di filosofia teoretica, studioso di ontologia dell'arte (quest'anno farà anche un corso su Leopardi) nonché jazzista di valore, che esordì con il sommo trombettista Enrico Rava: "Se è per il crack, non so niente!", esordisce.

Poi si rilassa e contrattacca: "Non sarebbe una politica intelligente se la nuova governance vaticana, come lei dice, forzasse sulle linee culturali. Noi guadagniamo esattamente come i professori delle facoltà pubbliche, abbiamo fatto il concorso statale, non siamo trattati meglio; ma siamo la migliore facoltà filosofica d'Italia, e tra le prime d'Europa". Addirittura? "Il nostro gruppo non si sente certo inferiore, me lo lasci dire, ai nomi alla moda come Peter Sloterdijk, Jean-Luc Nancy o Michel Onfray. Io non credo che il Vaticano impazzisca: fu Cacciari a rompere, primo in Italia, la separazione tra filosofia e teologia, e lui è più amato dalla Chiesa che dai laici. Abbiamo un gigante come Severino, che fu processato dalla Chiesa cattolica, abbiamo linguisti, storici, islamisti".

E un'ebraista, la torinese Elena Loewenthal, che col Vaticano, come dire, c'entra poco: "Non credo di temere nulla. L'essere "non cattolica" mi mette in una posizione più comoda, fuor d'ogni equivoco. E poi, al di là dell'accanimento mediatico sul caso San Raffaele, in particolare contro la nicchia della filosofia, questa è una facoltà dove si lavora molto bene: studenti motivati, sintonia con i colleghi, ambiente stimolante".

 

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