HA RAGIONE PIERSILVIO, PAPI A PALAZZO CHIGI NON HA PORTATO BENE A MEDIASET - I CONTI DEL BISCIONE SOTTO DEL 63% DAL 2008 E CON L’ARRIVO DI FULL MONTI SI È TOCCATO IL MINIMO STORICO - E ORA IL TERRORE DI SILVIO E RAMPOLLO È UNA RAI PRIVATIZZATA SENZA PIÙ CANONE E TETTO PUBBLICITARIO (COME CHIEDE L’UE): AVREBBE UN EFFETTO DEVASTANTE, E PROBABILMENTE NON SOLO PER I CONTI MEDIASE - MURDOCH IN MUTANDE (DA BAGNO)…

Antonella Olivieri per "Il Sole 24 Ore"

Avere i santi in paradiso non sempre aiuta. Mentre si stava insediando il nuovo governo Monti, Mediaset è sprofondata al minimo storico: oggi capitalizza 2,4 miliardi, poco più della metà rispetto all'Ipo del '96. Ma non è stato un crollo improvviso. L'azienda televisiva dell'ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non è stata infatti risparmiata dall'ondata ribassista che ha colpito Piazza Affari: durante il suo Governo, dal maggio 2008, il titolo ha perso il 63%, tre punti in meno dei media italiani, ma il doppio del settore nell'eurozona.

Era andata meglio sotto i due esecutivi retti tra giugno 2001 e maggio 2006: Mediaset ne era uscita ridimensionata del 13,3%, ma meno dei media italiani (-19,7%) e molto meno dei media europei che nello stesso periodo avevano perso oltre il 40%. Insomma, se aiuto dall'alto c'è stato, l'efficacia, almeno sulla Borsa, è svanita col tempo.

La parabola del Biscione può piuttosto essere spiegata con l'evoluzione del contesto competitivo. Senza entrare nel merito della questione conflitto d'interessi, finchè l'unico concorrente su piazza era la Rai, il gioco era relativamente facile. Già nel '94, al termine del suo primo esercizio, Mediaset raccoglieva il doppio della pubblicità (1.356 milioni contro 653).

La Rai, col canone, era però ancora in vantaggio di 600 milioni sui ricavi con 2,1 miliardi di entrate complessive. Allora l'emittente pubblico era già in rosso, ma a livello di margine operativo netto la distanza non era poi abissale: secondo i dati R&S, il 12,3% sui ricavi contro il 15,1% dello sfidante privato.

Quando Berlusconi torna al comando nel 2001, la Rai aveva raddoppiato le entrate pubblicitarie (1.270 milioni a fine 2000), mentre Mediaset le aveva aumentate "solo" del 56% (2.121 milioni). Cinque anni dopo, gli spot dell'ex monopolista erano sotto il punto di partenza (1.233 milioni), mentre la pubblicità del Biscione da sola (3.380 milioni) valeva più del fatturato totale di via Mazzini (3.083 milioni).

La spinta per Mediaset era però arrivata anche dalla Spagna: nel 2003 la partecipazione in Telecinco era stata raddoppiata al 50,1% dal 25% rilevato nel '97. Il duopolio televisivo però era già finito con la discesa in campo del gruppo Murdoch, che da settembre 2004 aveva preso le redini di Sky, interrompendo l'infruttuosa coabitazione con Telecom.

Non a caso dal 2006 gli utili della controllata Fininvest cominciano a flettere. Un concorrente agguerrito Sky, perchè già nel 2010 la tv satellitare, con quasi 3 miliardi di giro d'affari, si lascia alle spalle la Rai. E sebbene la pubblicità conti solo marginalmente nel suo bilancio (9,2% dei ricavi nell'esercizio al 30 giugno 2010), finora non ha conosciuto battute d'arresto. È vero, non ha i margini di Mediaset (il Mon è meno di un terzo) e non è arrivata ai 9 milioni di abbonati che si prefiggeva (è ancora ferma a 5), ma è riuscita a conquistarsi la fetta di mercato che paga di più per guardare la tv.

Mediaset non è rimasta a guardare. L'avvio della sperimentazione sul digitale terrestre, già dal 2004, è la risposta immediata tesa a evitare che lo "squalo", come è soprannominato il magnate australiano, attacchi frontalmente il bacino d'utenza della tv generalista. Mossa prettamente difensiva, tant'è che di guadagnare ancora non se ne parla. La pay-tv del Biscione, che l'anno scorso sembrava vicina al pareggio, negli ultimi nove mesi è invece ancora in rosso per quasi 30 milioni.

Non che non cresca, ma quest'anno è stata dura per tutti con una flessione del 28% nel numero dei nuovi abbonati. Per la prima volta Sky, nel trimestre chiuso a settembre, registra un calo nei ricavi dell'ordine del 7%. La pay-tv di Mediaset, bene o male, riesce ad archiviare i primi nove mesi con ricavi in crescita del 14% e oltre 2 milioni di spettatori. Premium continua a intercettare i due terzi dei nuovi abbonati, però, dato che costa il 40% in meno di Sky, deve pedalare di più. Con il lievitare dei diritti del calcio, per raggiungere il pareggio avrebbe bisogno di 150mila abbonati in più: dati i tempi che corrono, non è una passeggiata.

Il problema per Mediaset è anche quello di ridurre la dipendenza da Italia e Spagna, che in questo momento sono i mercati più sotto pressione. Ha provato a internazionalizzarsi indossando il cappello di produttore con Endemol, leader mondiale di format tv. Ma l'acquisizione da Telefonica non è andata per il verso giusto. La partecipazione del 33% nella casa olandese è stata interamente svalutata già lo scorso anno (azzerati 466 milioni) e dei 96 milioni di debito riacquistato, dopo le ultime rettifiche ne è rimasto in carico un valore pari a poco più della metà. Mediaset ora si gioca il tutto per tutto perché se Endemol finisse ai creditori non salverebbe neppure la speranza di averne un ritorno in termini industriali.

Ma, per tornare a bomba, anche oggi, nel dopo Governo-Berlusconi, è ancora la concorrenza la vera sfida per Mediaset. In Italia, tutto sommato, fino ad agosto ha tenuto botta. Secondo i dati Nielsen, infatti, nei primi otto mesi le tv di Cologno Monzese hanno risentito di un calo della raccolta pubblicitaria limitato al 2%: niente a confronto con la Rai (-10,8%) e Sky (-15,6%). Ma è facile immaginare, in un mercato in pesante contrazione, l'effetto che avrebbe l'irruzione di una Rai affamata di spot.

In questo contesto, il pericolo pubblico è proprio l'urgenza di privatizzare sollecitata dalla Ue: una Rai senza più canone avrebbe un effetto devastante, e probabilmente non solo per i conti Mediaset.

 

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