IL CINEMA DEI GIUSTI - PER QUANTO MI SFORZI DI TROVARE QUALCOSA DI BUONO, CHE C’È, IN QUESTO “UN ALTRO FERRAGOSTO”, ULTIMO FILM DI PAOLO VIRZÌ E SEQUEL DEL FORTUNATO “FERIE D’AGOSTO” DEL 1996, NON POSSO DIRE CHE SIA UN FILM RIUSCITO - A TRATTI FA RIDERE, CAPIAMO IL SERIO IMPEGNO ANTIFASCISTA DEL REGISTA E DEGLI SCENEGGIATORI E CI PIACE IL FATTO CHE SIA IL PRIMO E FINORA, AHIMÉ, UNICO FILM DEDICATO ALLA DESTRA CAFONA AL POTERE. MA E’ DAVVERO ’NA CACIARA E VIRZI' NON RIESCE A TENERE LE FILA DELLE STORIE - VIDEO
Marco Giusti per Dagospia
‘Na caciara. Sì. A tratti fa ridere, come quando Christian De Sica confonde il muro di Spinelli, nel senso di Altiero Spinelli, il politico antifascista Altiero Spinelli confinato a Ventotene, con gli spinelli degli anni ’70, o Gigio Alberti scambia per lesbiche nordiche due lesbiche di Terracina. E capiamo il serio impegno antifascista del regista e degli sceneggiatori, e ci piace il fatto che sia il primo e finora, ahimé, unico film dedicato alla destra cafona al potere.
E il monologo della Fanelli che piange al film sfigato da cineclub (ma Poalo Bologna non è il vero Paolo Bologna) fa ridere (“Sto a di’ che ‘sto film è bello perché dice la verità, finalmente: la gente fa schifo, apposta c’arriva addosso solo la merda… Dovemo morì tutti, se lo meritamo. Dovemo morì tutti, e pure male”). E anche l’idea di mettere assieme nella scena la campionessa del cinema morettiano, Laura Morante con lo scialletto, e il campione del cinepanettone, Christian De Sica, mi piace.
Ma, per quanto mi sforzi di trovare qualcosa di buono, che c’è, certo, in questo ultimo film di Paolo Virzì, “Un altro ferragosto”, sequel del fortunato e riuscitissimo “Ferie d’agosto” del 1996, quasi trent’anni fa, proprio per il rispetto che porto al regista e ai suoi co-sceneggiatori, Francesco Bruni e il fratello Carlo, non posso dire che sia un film riuscito. E’ davvero ’na caciara.
Ci sono personaggi, penso a quello di Ema Stokolma, che vengono buttati lì, dicono due cose e scompaiono, altri che non vengono sviluppati quando vorremmo saperne di più, Silvio Orlando, che riprende il ruolo dell’intellettuale Sandro Molino, passa dalla macchietta del vecchio comunista un po’ rimbambito a quello che sogna l’Italia della resistenza entrando in un bianco e nero con tanto di Pertini (troppo alto) col mitra in mano.
Per non parlare dell’effetto cringe che ci danno i due personaggi gay, il figlio riccio di Orlando, il pur ottimo Andrea Carpenzano, e il marito Noah, interpretato da Lorenzo Saugo, della pochezza che dimostrano sia la famiglia di sinistra che quella di destra, dove, morti davvero i fondamentali Ennio Fantastichini e Piero Natoli, che interpretavano i mariti della Marisa di Sabrina Ferilli e della Luciana di Paola Tiziana Cruciani, si inseriscono il fascistoide personaggio di Vinicio Marchioni, pronto a sposare in diretta social la ricca figlia influencer di Luciana, Anna Ferraioli Ravel, e Christian, che fa il solito Christian alla Sordi, nuovo uomo di Marisa.
Ora, Sabrina, morti i mariti del vecchio film, facendo di Orlando e della Cruciani dei sopravvissuti malati e rincojoniti, non sviluppando tanto la Cecilia di Laura Morante, si ritrova a portare avanti narrativamente quasi da sola tutta la storia, in quanto personaggio positivo e ancora valido. Gioca al vecchio flirt con Gigio Alberti ricordando, sì, quello funziona, ci fa fare due risate con Christian, sono una sicurezza, e cerca di fare da ponte, come nel vecchio film, tra le famiglie di destra e di sinistra, di tendere una mano alla nipote in crisi, l’influencer coatta che sta per sposare l’uomo sbagliato, Marchioni, alla sorella con Alzheimer, ma non può coprire le falle di una sceneggiatura che, come in “Siccità”, non sembra all’altezza dei suoi autori.
Virzì è tra i pochi sceneggiatori-registi italiani in grado di costruire grandi storie con tanti personaggi e di farle sviluppare in maniera corale dando a ciascuno la sua identità. Qui, però, non riesce a tenere le fila delle storie e a sviluppare bene i personaggi. E vorremmo sapere qualcosa di più dei figli di Sandro, Altiero e Martina, un’ottima ma limitata dalla parte Agnes Claisse, del vero figlio di Fantastichini, Lorenzo, di Fabrizio Ciavoni figlio incazzato di Sabrina che manda affanculo sia lei che Christian.
Ci piace la battuta sul film del “falso” Paolo Bologna mostrato negli anni ’80 al festival di Pesaro con tanto di critica di Adriano Aprà. Non aspettavamo altro che una commedia sulla generazione di Silvio Orlando e Laura Morante. Sulla destra e sulla sinistra. Ma non è questo. C’è qualcosa, forse troppo che non funziona. A cominciare da un agosto a Ventotene che, malgrado dicano tutti che fa caldo, si vede benissimo che non fa caldo perché sarà aprile, massimo maggio. Da un modello di commedia scoliana che non si adatta più alla realtà del paese e fa diventare, sono sicuro involontariamente, antipatici tutti.
Anche quelli che dovrebbero piacerci. E allora ha ragione la Fanelli a urlare contro il film che ci dimostra la merda che siamo. Ma perché dobbiamo andare a vedere un film che non è più quel che pensavamo. Dove ci vergogniamo un po’ di come vengono messi in scena gli omosessuali, le lesbiche, i comunisti e i post-comunisti. Alla fine funzionano meglio certi personaggi minori, già nel primo film, rimasti intatti.
Penso a Rocco Papaleo e Lele Vannoli, alla coppia lesbica Claudia Della Seta – Raffaella Lebboroni con tanto di battute sulle Schlein, a Giogio Alberti e Silvio Vannucci. E non capisco perché non sia stata richiamata Teresa Saponangelo, che esordiva nel vecchio film come figlia del povero Mario Scarpetta. E per fortuna che Sabrina, la Fanelli, Christian, alla fine qualche risata ce la fanno fare. In sala.
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