30 ANNI FA LA BATTAGLIA DI PIAZZA DI SPAGNA - QUANDO CLAUDIO VILLA, ARBORE, BRACARDI, NICOLINI E VALENTINO, CHE AVEVA L'ATELIER A DUE PASSI E TEMEVA LA PUZZA DI FRITTO SULLE SUE STOFFE PREGIATE, PROTESTARONO IN PIAZZA CONTRO L'ARRIVO DI MCDONALD'S A ROMA, FESTEGGIATO DA ORDE DI PANINARI ENTUSIASTI. IL RACCONTO DI CHI LO APRÌ - OGGI IL FAST FOOD È DIVENTATO SLOW, CON PANINI SU MISURA, CHIANINE E INSALATE. MA IL SUO ARRIVO A BORGO PIO HA SCATENATO UNA NUOVA SOLLEVAZIONE
protesta contro mcdonalds 1986 con bracardi
Elisa Manisco per ''il Venerdì - la Repubblica''
Da una parte, Claudio Villa, Renzo Arbore, Giorgio Bracardi, Renato Nicolini e Valentino, che aveva l' atelier a due passi e temeva la puzza di fritto sulle sue stoffe impalpabili. Al grido di «Roma sfregiata» mettevano in guardia dall' invasione a stelle e strisce della capitale e invocavano l' intervento di Clint Eastwood, neosindaco repubblicano di Carmel e "braccio armato della legge" contro i fast food della cittadina californiana.
Dall' altra, un' orda di ragazzi e ragazze, paninari e "nati ai bordi di periferia", arrivati a reclamare il loro pezzetto di sogno americano nella forma tonda e succulenta di un Big Mac.
Quella che andò in scena il 20 marzo 1986 (e a seguire) con lo sbarco di McDonald' s a Piazza di Spagna fu una bagarre politica, un conflitto di culture, uno scontro di Weltanschauung. In pratica, una gran caciara.
«Si presentarono quattromila persone. La fila arrivava a via Frattina» ricorda Francesco Bazzucchi, che di quel primo locale fu direttore e in Italia fa da memoria storica all' azienda fondata da Ray Kroc. «C' erano anche ultras con il pallone in mano. E pensare che per attirare avventori avevamo messo all' ingresso un pianoforte bianco suonato da un nero... Dovette scappare per non farsi travolgere e noi incassammo 50 milioni».
Umbro, una prima vita da scultore a via Margutta negli anni Sessanta e una seconda nella ristorazione d' alto bordo (Chez Maxim e Café de Paris, dove serviva Almirante e Pajetta), Bazzucchi si convertì al fast food negli anni Ottanta insieme al socio Jacques Bahbout, proprietario del posto scelto per ospitare la prima sede italiana degli archi dorati, i gloriosi locali dell' ex Rugantino, ristorante che evocava la Dolce Vita, ma in realtà era «un posto brutto, losco e pieno di topi». Rimesso a nuovo con trompe l' oeil felliniani, divenne il Mac più grande del mondo: 450 posti spesso occupati dagli onorevoli della Camera che ci facevano la pausa pranzo.
Attirati anche dalle insalate di "chef" Bazzucchi, di ben 36 tipi diversi: «Fu una mia idea, ma gli americani storsero il naso. All' epoca non erano previste varianti della triade burger-patatine-milkshake e volevano mandare a monte l' affare. Ma Jacques fu irremovibile, così alla fine accettarono».
E fu un bene: la trovata fece scuola e precorse i tempi. Perché non solo le insalate ora fanno parte del menù (sempre più salutista), ma sono state un esempio di quella filosofia glocal che ormai da tempo plasma le scelte del colosso dell' Illinois.
Soprattutto in Italia, dove McDonald' s dal 2008 segue una strategia attentissima alle filiere e al gusto locali, culminata in iniziative come Fattore Futuro, nata durante l' Expo 2015 per sostenere gli agricoltori under 40, e McItaly, il panino con ingredienti dop creato nel 2010 per volontà dell' allora ministro dell' agricoltura Zaia.
Definito dal Guardian «un segno della bancarotta morale del governo Berlusconi», tornerà nei prossimi giorni in una nuova versione con carne di pregiato vitellone bianco romagnolo. Un bel cambiamento rispetto ai tempi di Mr Kroc, per cui il pasto standardizzato, da esportare in tutto il mondo come la democrazia, rappresentava il trionfo dei valori all american.
A partire da quello fondativo: l' identità nel consumo. Era il «panino uguale per tutti» che estasiava Andy Warhol, nella pratica (dai suoi diari si apprende che mangiava da McDonald' s quasi tutti i giorni) e nella teoria, in quanto simbolo di un Paese dove «i consumatori più ricchi comprano la stessa identica cosa di quelli più poveri». Proprio come le opere in serie della pop art, l' hamburger "nell' epoca della sua riproducibilità tecnica" è stato a lungo un messaggero di modernità e progresso. Ora però, nel mondo postcapitalista e antiglobale, arranca un po'.
dove aprira il mcdonalds di borgo pio
Così, per sopravvivere, è costretto a trasformarsi: il food da fast diventa slow e il panino si assembla su misura. Vedere lo storico McDonald' s milanese di San Babila per credere. Meta dei paninari anni Ottanta, ha da poco riaperto in versione "casual restaurant" hi-tech, con burger gourmet componibili con un touch e serviti al tavolo in sale dai colori discreti, lontanissime dalla squillante estetica alla American Graffiti di un tempo. Eppure c' è chi grida ancora allo scempio come ai tempi di Bazzucchi.
Accade a Borgo Pio, dove l' arrivo di un McDonald' s in locali vaticani ha dato vita a una sollevazione bipartisan capitanata dal professor Asor Rosa, che lo ha definito «il colpo di grazia sull' animale ferito».
Mentre a Firenze il sindaco Nardella ha bloccato un' apertura già concordata a piazza del Duomo appellandosi all' Unesco. Tutt' altra storia ad Altamura, provincia di Bari, dove nel 2006 un chiosco giallo-rosso fu costretto a chiudere perché surclassato da una bottega che smerciava delizie locali. Ne nacque anche un film con Arbore (di nuovo lui) diretto da Nico Cirasola. Si intitolava Focaccia blues, e per l' occasione il New York Times scrisse che la grande M «era stata sconfitta da un' intera cultura». Ma da allora le cose sono cambiate e McDonald' s ha imparato la lezione. Il nemico non si combatte. Si ingloba.
Nell' 86 per l' apertura del primo locale italiano protestarono fianco a fianco Valentino, Arbore e Claudio Villa. Persero. E il McItaly inaugurò una nuova tendenza. Che ha fatto scuola A roma 36 tipi di insalate affiancarono la triade Hamburger, patatine, milkshake.
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