ANSIA DA DIGITAZIONE: I SERVIZI DI MESSAGGISTICA ISTANTANEA CI FANNO CREDERE DI PARLARE FACCIA A FACCIA CON I NOSTRI INTERLOCUTORI, INNESCANDO MECCANISMI D'ANSIA QUANDO NON RICEVIAMO IMMEDIATA RISPOSTA - ESISTONO VARIE TECNICHE PER CAMUFFARE LA RICEZIONE DEI MESSAGGI. L'UNICO MODO È DISATTIVARE LE NOTIFICHE O SILENZIARE IL TELEFONO, ALMENO NEL WEEKEND
Elvira Serra per il "Corriere della Sera"
Chi rinuncia si salverà.
Ma non sarà una sconfitta, semmai una conquista. Di libertà. Quella di rispondere o non rispondere a un messaggio, o di farlo quando è meglio. Un meglio soggettivo: lo decideremo noi. È questa la vera sfida da vincere, in epoca di «sovraccarico informativo, istantaneo e quotidiano», per usare le parole di Giovanni Boccia Artieri, sociologo dei media digitali all' Università di Urbino Carlo Bo. Perché oggi più che mai ci stiamo rendendo, più che reperibili, sempre più disponibili a comunicare.
Il telefonino non è più uno strumento per essere rintracciati, ma un «hub» multimediale, uno snodo trafficatissimo di email, sms, messaggi istantanei. Se nel 2015 un americano medio dichiarava di ricevere ogni giorno 86 email di lavoro, in tre anni le cose sono cambiate in peggio.
E infatti non è un caso che proprio negli Stati Uniti abbiano cominciato a ignorare l' assalto dei messaggi, di qualunque tipo e su qualunque piattaforma. Pagandone un prezzo: l' ansia. «Abbiamo creato un ambiente in cui le persone credono di poter ricevere una risposta all' istante.
Quando non succede, entrano in ansia», ha spiegato all' Atlantic l'«antropologa digitale» Sherry Turkle. Un costo tutto sommato accettabile se si impara a scartare: a trasformare, cioè, quello spazio mentale in cui ci sentiamo sotto assedio, nell' avamposto di una nuova comunicazione digitale.
«Mentre all' estero si sta già sviluppando il tema del detox, della disintossicazione dalla comunicazione attraverso corsi e buone pratiche negli uffici, in Italia manca un' etica adeguata. È un problema culturale di apprendimento, al quale dobbiamo cominciare a trovare soluzioni», prosegue Boccia Artieri. L' equivoco di fondo è che ci aspettiamo una risposta immediata dal destinatario di un messaggio, come se fosse lì di fronte ai nostri occhi. «È un processo cognitivo automatico messo in atto dal cervello, lo stesso che si genera in un faccia a faccia», spiega Giuseppe Riva, psicologo dei nuovi media alla Cattolica di Milano.
Ma obiettivamente è troppo aspettarsi che chi «spunta» il nostro messaggio su WhatsApp ci risponda in 200 millesimi di secondo, come farebbe se fosse a 70 centimetri dal nostro naso.
Sopravviveremo, Gloria Gaynor lo va cantando da quarant' anni, quando gli smartphone non erano neanche immaginati. Però bisogna applicarsi un poco. Disabilitando le notifiche, per esempio, almeno nel weekend o durante le vacanze: così non saremo distratti da «bing» vari o improvvise illuminazioni dello schermo del telefonino mentre siamo al cinema (anche i vicini di posto ci saranno grati) o sotto un cielo stellato. Ci si può dare un limite anche per rispondere alle email aziendali (che peraltro possono essere disattivate temporaneamente). «Chi lavora il sabato mattina è libero di scriverci, ma deve mettere in conto che risponderemo il lunedì. Ed entrambi gli interlocutori devono imparare a gestire l' ansia dell' attesa», insiste Boccia Artieri.
Le intrusioni non sono solo professionali. Pensiamo ai gruppi di WhatsApp nei quali ci troviamo nostro malgrado iscritti: condominio, scuola, piscina, palestra. «Intanto si può uscire da questi gruppi. O altrimenti basta silenziarli», ricorda Riva. Il che implica usare a proprio vantaggio le impostazioni di privacy di tutte le applicazioni che usiamo: su WhatsApp, per restare in tema, si può scegliere di togliere la «spunta azzurra» alla lettura dei messaggi. «Ma forse questo assomiglia a una sconfitta», ci fa notare Alberto Marinelli, esperto di processi culturali e comunicativi della Sapienza di Roma. Perché non bisogna scappare: «Le nuove tecnologie permettono di stabilire i tempi dell' interazione. E questo è soprattutto un vantaggio».
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