LA GIUSTIZIA E’ UN ETERNIT AL LOTTO - BELPIETRO: “PER L’ASSOLUZIONE DI SCHMIDHEINY NON CE LA SI DEVE PRENDERE CON LA CASSAZIONE, MA CON LA PROCURA. HANNO DECISO DI CONTESTARE IL DISASTRO AMBIENTALE INVECE DELL’OMICIDIO VOLONTARIO”
Maurizio Belpietro per "Libero Quotidiano"
In molti si sono indignati per la sentenza che ha mandato assolto il magnate svizzero Stephan Schmidheiny e c’è da capirli. Di Eternit sono morti a migliaia e l’elenco delle vittime non è ancora definitivo perché le polveri entrate nei polmoni provocheranno in futuro altri decessi.
Dunque, sentire pronunciare in nome del popolo italiano una sentenza che manda libero l’accusato di disastro ambientale, annulla il risarcimento danni e condanna i famigliari dei morti a pagare le spese processuali non può che suscitare rabbia. Naturalmente tutti, o quasi, se la sono presa con i giudici della Cassazione, i quali sono stati accusati di non aver avuto il coraggio di condannare un uomo ricco e potente.
Ma qui non si tratta di aver coraggio. Anzi, semmai i magistrati della suprema corte di coraggio ne hanno dimostrato anche troppo, perché con l’assoluzione per prescrizione hanno sfidato il senso comune, cioè l’opinione pubblica che voleva a tutti i costi una condanna, anche a prezzo di violare il codice. Perché il problema sta tutto lì, nella legge penale, che fissa i termini di prescrizione per il reato di disastro ambientale. Superati 12 anni dai fatti, il reato non è più perseguibile.
E siccome l’azienda è chiusa dal 1986, cioè ha smesso di diffondere nell’aria le polveri che provocano il mesotelioma ai polmoni (anche se i manufatti in Eternit continuano a rilasciarne), per la giustizia il reato si è prescritto nel 1998, cioè molto prima che cominciasse il processo di primo grado e che la Procura di Torino decidesse di aprire il fascicolo contro Schmidheiny per disastro ambientale. Che potevano fare i giudici se non applicare la legge e dunque chiudere il caso per avvenuta prescrizione?
Né serve - come ha fatto qualcuno - prendersela con i tempi della giustizia, perché nel caso Eternit la giustizia è stata spedita. Il giudizio di primo grado è del 13 febbraio 2012, quello d’appello del 3 giugno 2013 e la Cassazione è arrivata ieri, poco più di un anno dopo la pronuncia dei giudici di secondo grado.
Insomma, in meno di cinque anni si è passati dall’apertura dell’inchiesta - cioè dalla fase di indagini - alla sentenza definitiva. Cinque anni sono tanti, ma molti meno di quelli richiesti per processi meno complessi, e se anche in Cassazione si fosse giunti nel 2009, anno di inizio del procedimento, il reato sarebbe stato dichiarato prescritto ugualmente.
Ora Matteo Renzi, cavalcando l’indignazione popolare dice che bisogna intervenire sui tempi di prescrizione, allungandoli, ma non pare una grande idea. Un po’ perché la proposta viene da uno che sta cancellando la detenzione per tutti i reati che allarmano l’opinione pubblica proprio quando questi reati sono in aumento. E un po’ perché il problema vero non è la prescrizione - che pure suscita rabbia - ma la qualità dell’inchiesta. Ce lo vogliamo dire in questo coro di riprovazione generale?
Per l’assoluzione di Schmidheiny non ce la si deve prendere con i giudici della Cassazione, ma con la Procura. Sono i pm che hanno deciso di contestare al magnate svizzero il reato di disastro ambientale invece di accusarlo di omicidio volontario: il primo si estingue in 12 anni, l’omicidio invece no e può essere perseguito fino ad oggi. Sono i pubblici ministeri dunque semmai ad aver sbagliato, non certo chi si è attenuto alla legge, ed è con loro perciò che l’opinione pubblica se la dovrebbe prendere, chiedendo: ma come, non lo sapevate che il disastro ambientale era prescritto già quando avete avviato le indagini?
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Davvero credevate che nonostante la chiusura della fabbrica si potesse estendere la responsabilità del disastro anche negli anni successivi? Il capo delle indagini, il procuratore Raffaele Guariniello, colui che ha sostenuto l’accusa, di fronte alla sentenza che ha fatto a pezzi le sue tesi, dice che non tutto è perduto e che anzi la Cassazione conferma la colpevolezza di Schmidheiny e quindi ha annunciato l’intenzione di indagare lo svizzero per omicidio volontario di 263 persone.
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Ma la cosa non è affatto scontata: per la legge non si può processare due volte la stessa persona per gli stessi fatti. E in ogni caso c’è da chiedersi perché non lo abbia fatto prima. Perché ha aspettato cinque anni per decidersi a contestare un reato che non avrebbe lasciato scampo al padrone della Eternit?
Se nel 2009 avesse chiesto il processo per le migliaia di vittime sulla base di una responsabilità in omicidio non avremmo perso cinque anni e oggi su Schmidheiny penderebbe una condanna definitiva e un obbligo a risarcire i famigliari dei morti. L’errore sta lì ed è di tutta evidenza.
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Non serve allungare i tempi di prescrizione (dodici anni per fare un processo non bastano?) né prendersela con chi il codice lo applica anziché interpretarlo. Se si deve prendersela con qualcuno, citofonate in Procura e chiedete perché non hanno fatto la cosa che ora - cinque anni e tre gradi di giudizio dopo - dicono di voler fare. maurizio.belpietro@liberoquotidiano.it @BelpietroTweet