BRUSCA TORNA LIBERO – IL BOIA DI CAPACI, CHE FECE SCIOGLIERE NELL'ACIDO UN BIMBO DI 11 ANNI, HA SCONTATO LA PENA DOPO 25 ANNI DI CARCERE - LA SORELLA DI FALCONE: “ADDOLORATA MA LA LEGGE E’ QUESTA. UNA LEGGE PER ALTRO VOLUTA DA MIO FRATELLO…” – BRUSCA E’ SEMPRE STATO CONSIDERATO UN PENTITO ATTENDIBILE MA I DUBBI NON SONO POCHI: SULLA VICENDA DELLA TRATTATIVA STATO-MAFIA, PARLANDO DEL "PAPELLO" DI TOTÒ RIINA, FINO AD ARRIVARE AL SEQUESTRO DI 200MILA EURO...
Riccardo Arena per "la Stampa"
Doveva succedere e alla fine è successo: Giovanni Brusca torna libero, un mese e mezzo prima del previsto, grazie agli sconti per la buona condotta, dopo 25 anni filati di carcere.
Giorno più, giorno meno, dato che quando gli agenti della Squadra mobile presero, a Cannatello, località di mare vicino ad Agrigento, il boia di Capaci e il mandante dell' omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, era il 20 maggio 1996. Fu la notte in cui l' esultanza degli uomini guidati dall' attuale questore Luigi Savina, all' epoca capo della Squadra mobile di Palermo, suscitò qualche scandalo tra i non pochi benpensanti e fra i sinceri garantisti.
Ma la tensione della cattura e l' impresa realizzata in anni di piombo mafioso, terribilmente vicini ai giorni delle stragi, magari rendeva comprensibili le braccia levate al cielo degli omoni col Mephisto calato sul volto.
Ora Brusca torna libero, lo scrive L' Espresso, commenta Matteo Salvini dicendo che gli italiani non lo meritano e Maria Falcone, sorella di Giovanni, non un giudice qualsiasi ma purtroppo una delle tantissime vittime del capomafia di San Giuseppe Jato, dice che la legge è legge e che bisognerà stare attenti che l' uomo chiamato u Verru, il porco, non torni a delinquere.
Futuro incerto, in questo senso: il carcere e la condanna a 30 anni hanno veramente cambiato colui che fece rapire e poi strangolare - con lo scioglimento nell' acido - un ragazzino di 15 anni, tenuto prigioniero in condizioni selvagge sol perché figlio di un pentito? Quattro anni di libertà vigilata, decisi dalla Corte d' appello di Milano, protezione assicurata dallo Stato e un servizio di scorta che servirà anche a controllarlo, serviranno o saranno inutili?
I dubbi non sono pochi. Quella collaborazione subito accennata, l' offerta fatta al capo della Direzione nazionale antimafia Piero Luigi Vigna e al procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli, le infamie che cercarono di macchiare anche Luciano Violante, attraverso il rimpallo di racconti inquinati e inquinanti fra Brusca e il suo ex avvocato. Non nacque nel migliore dei modi, quella collaborazione, il pentimento "24 carati", come scrisse un anonimo su un muro di San Giuseppe Jato, nei giorni di agosto del 1996 in cui la notizia cominciò a trapelare.
E poi il battesimo del processo Andreotti, le torride giornate di agosto del 1997 in cui Brusca - preceduto nella collaborazione dal fratello Enzo Salvatore, arrestato con lui - fece l' ingresso nel mondo dei pentiti doc, accusando di collusioni e intelligenze col nemico mafioso il sette volte presidente del Consiglio di collusioni con i boss, ma negando di conoscere la storia del bacio fra lui e Totò Riina.
Anche perché quella vicenda l' aveva raccontata il suo acerrimo nemico, Balduccio Di Maggio, che Brusca avrebbe voluto uccidere e che poi tornò in armi a San Giuseppe Jato per rendergli la pariglia e sterminare i non pochi fedelissimi che al Verru erano rimasti in patria.
Di Maggio nell' ottobre del 1997 fu preso con il suo gruppo di assassini ma la storia servì a far capire anche che Brusca aveva ancora molti agganci sul territorio. E questo, nel momento in cui ieri Palermo ha conosciuto un nuovo omicidio di mafia, getta una luce quanto mai sinistra sul suo ritorno in libertà.
Dopo avere confessato di aver premuto il telecomando della strage di Capaci, Brusca è sempre stato considerato un pentito attendibile, anche il procuratore nazionale antimafia e poi presidente del Senato, Piero Grasso, ha sempre sostenuto la necessità di rispettare la legge e le norme premiali per i collaboranti.
Ma Giovanni Brusca è stato uno specialista nel seminare dubbi. Come quando la Dda di Palermo gli sequestrò 200 mila euro, poi restituiti, ritenendo che avesse dei beni nascosti e mai rivelati. Oppure come quando iniziò ad aggiungere sempre nuovi particolari sulla vicenda della Trattativa Stato-mafia, parlando del "papello" di Totò Riina, fino ad arrivare al presunto terminale di quell' elenco di richieste che il capo dei capi avrebbe fatto allo Stato nel periodo delle stragi di mafia.
Giuseppe Di Matteo Giuseppe Di Matteo Giuseppe Di MatteoGIOVANNI BRUSCA