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LE BUGIE HANNO LE AL SISI CORTE - SUL CASO REGENI, ORA GLI EGIZIANI SI SMENTISCONO DA SOLI: IL MINISTERO DELL’INTERNO, CHE DIECI GIORNI FA AVEVA OFFERTO I CADAVERI DI CINQUE BANDITI INDICANDOLI COME “RESPONSABILI” DELLA MORTE DEL RAGAZZO, ORA FA DIETROFRONT E NEGA TUTTO
Fabio Tonacci per “la Repubblica”
Travolto da una finta verità che non sta più in piedi, il governo egiziano riesce nella notevole impresa di smentirsi da solo. Il ministero dell’Interno del Cairo, che appena dieci giorni fa aveva consegnato all’opinione pubblica mondiale i cadaveri di cinque banditi indicandoli quali “responsabili” della morte di Giulio Regeni, ora si rimangia tutto.
«Non abbiamo mai detto che dietro l’uccisione dell’italiano ci fossero loro». Un triplo salto carpiato che, a 24 ore dal possibile — ma non ancora confermato — arrivo degli investigatori egiziani a Roma per incontrare i poliziotti dello Sco e i carabinieri del Ros, non lascia presagire niente di buono.
VIGNETTA GIANNELLI - AL SISI COLLABORA SUL CASO REGENI
A fornire l’ennesima versione ufficiale di cartapesta è stato il viceministro dell’Interno Abou Bakr Abdel Karim, intervistato al telefono dalla trasmissione Al-Haya Al Youm. «La ricerca degli assassini è ancora in corso, perché il governo egiziano non ha mai sostenuto che la banda dei cinque rapinatori uccisi dalla polizia fosse responsabile della morte di Regeni», dichiara.
Smentito ancor prima di finire la frase dal comunicato stampa del 24 marzo, nel quale il suo stesso ministero aveva dato conto del ritrovamento dei documenti di Regeni a casa della banda, prova inequivocabile — secondo loro — del coinvolgimento nelle torture e nell’omicidio dello studente italiano.
Un goffo tentativo di chiudere un caso invece apertissimo. E che, finalmente, provoca un sussulto di coscienza anche tra i giornalisti egiziani. In un editoriale il direttore di Al Ahram, il principale quotidiano dell’Egitto, mette nero su bianco i suoi dubbi. «Prima della prossima trasferta in Italia degli investigatori — scrive Mohamed Abdel Hadi Allam — esortiamo lo Stato a portare in giudizio gli autori del crimine e a presentare prove e verità coerenti sulla vicenda poiché le versioni ingenue sulla morte di Regeni hanno nociuto all’Egitto sia all’interno che all’estero e hanno fornito a qualcuno la giustificazione per giudicare quello che succede nel Paese e dire che niente è cambiato, come se fossimo nella fase che precedeva la rivoluzione del 25 gennaio».
Nel vano tentativo di ricostruire una qualche credibilità al governo egiziano, il viceministro Abdel Karim lo mette in realtà in una posizione ancor più scomoda. Perché, con l’ammissione che i cinque criminali niente c’entrano con la morte di Regeni, rimangono sul tavolo domande a cui il viceministro non ha risposto. Come sono finiti i documenti di Giulio a casa della sorella del capo della banda? Chi è il fantomatico “amico” del boss che 5 giorni prima della sparatoria gli avrebbe consegnato i documenti? Perché una banda che sequestra stranieri per rapinarli non ha prelevato neanche un euro dal conto di Giulio, pur avendo il suo bancomat?
Nonostante i contatti con gli inquirenti italiani, risulta che gli egiziani stiano continuando a non fornire elementi fondamentali per l’indagine, come i tabulati telefonici di una decina di persone che prima della scomparsa avevano rapporti con Giulio: coinquilini, vicini di casa, esponenti di sindacati indipendenti e ambulanti. E si attende ancora l’analisi del traffico registrato il 25 gennaio dalle celle telefoniche attorno all’abitazione di Regeni, nonché quello relativo al 3 febbraio dalle celle nella zona del ritrovamento. Dall’incontro di domani, se ci sarà, si capiranno le reali intenzioni dell’Egitto.
REGENI
giulio regeni
I TUTOR INGLESI DI REGENI PROTESTANO CONTRO AL SISI